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Cina: una “rivoluzione profonda” per una nuova “prosperità comune”

giovedì 30 dicembre 2021 di CEPRID

Alberto Cruz

CEPRID

Traduzione di Alessandro Lattanzio

Il dibattito è già aperto, anche se settori della cosiddetta sinistra, e sotto cosiddette bandiere operaie, cercano di screditarsi e di collocarsi dove sono ancora, al centro del potere egemonico occidentale: in Cina, c’è un’evidente situazione anticapitalista, manifestazione di una “rivoluzione profonda” sancita come obiettivo dal 14° Piano quinquennale (ottobre 2020), per raggiungere la “prosperità comune” nel 2035.

Piaccia o no, gli eventi politici in Cina non hanno smesso di fare notizia sui media finanziari capitalisti da quando iniziava quella che fu definita la “repressione” dei grandi capitalisti. fermate le azioni del gruppo Ant del miliardario Jack Ma e “braccio finanziario” del suo grande emporio Alibaba (1). Persino (quasi) l’onnipotente Wall Street all’epoca ne fu all’oscuro, nonostante le solite smorfie e critiche alla “repressione comunista” e a ciò che comportava. Ma la stessa cosa è successa con altre grandi aziende, fintech e dei trasporti, e poi arrivò per istruzione, tecnologia, edilizia ed intrattenimento. E il panico si scatenò completamente.

La penultima mossa, perché l’ultima deve ancora avvenire, è la speculazione immobiliare che China Evergrande rappresenta e di come il governo l’affrontava, al contrario di quanto fece il capitalismo all’epoca con la crisi di Lehman Brothers. Il capitalismo occidentale esclamò che doveva essere “il momento Lehman Brothers della Cina”, il colpo finale ai cinesi e alla loro spinta geopolitica. Invece no, la Cina ha dimostrato che è possibile agire diversamente perché la differenza tra Lehman Brothers, che generò la crisi capitalista del 2008 (da cui quest’ultima non è ancora uscita, e che si aggiunge a quella generata dal COVID -19), è che in Cina c’è uno Stato e in occidente è stato distrutto dal neoliberismo.

In Cina, lo tsunami del 2008 fu evitato grazie a misure economiche statali (costruzione di case, infrastrutture, ecc.) per evitare costi sociali e far fronte alla disoccupazione che si sarebbe potuta verificare se ciò non fosse avvenuto. Il sistema basato sulla produzione di beni per l’esportazione fu paralizzato dalla crisi occidentale. Tutto andava al popolo cinese (si confrontare questa azione, progettata per il popolo, con le sciocchezze occidentali che portavano a un aumento significativo di disoccupazione e privatizzazioni). Ma ebbe un costo che sostenne il capitale speculativo, in particolare il capitale edilizio, perché queste misure, se volete, rafforzarono il capitalismo cinese salvando il capitalismo occidentale.

È passato più di un mese dalla “crisi Evergrande” dicendo che la “minaccia” cinese non poteva essere rimandata, ma non solo la crisi non è scoppiata, il governo affrontava una delle maggiori sfide varando il 14° Piano quinquennale, che in cinese è stato chiamato “affrontare le tre grandi montagne”: istruzione, casa e salute. Sono queste le grandi sfide per raggiungere la “prosperità comune”, grande traguardo proclamato un anno fa e che va raggiunto nel 2035.

Se l’istruzione privata ha già subito un duro colpo all’inizio dell’anno (anche se la sua modifica finale non fu ancora discussa), ora è la volta dell’edilizia abitativa. Perché della crisi si è già detto qualcosa che va tenuto in considerazione sugli altri parametri fuori dalla Cina: “la casa è fatta per vivere, non per speculare”. Cioè, il governo cinese agirà non nell’interesse dei grandi capitalisti di Evergrande, ma del popolo. Questo si tradurrà già nel fatto che molte case vuote già costruite saranno alloggi sociali e si incoraggerà l’azienda a venderle a un prezzo molto più basso. Questo può già essere quantificato perché da quando fu fatto l’annuncio del tutto ragionevole, il prezzo scese del 28%-52% a seconda della regione. Ma questo non riguarda solo le case di Evergrande, ma è generale. Lo Stato interviene sui prezzi e non sul “mercato”. Un altro esempio: per legge, gli affitti non possono essere aumentati di oltre il 5% annuo. In confronto, in Spagna, il prezzo medio degli affitti tra aprile e settembre di quest’anno è aumentato del 4,3%, vale a dire in sei mesi è quasi la stessa cifra annuale in Cina. E senza i limiti massimi che gli sono imposti.

È interessante notare che “non è quello che il mercato vuole sentire”, come si lamenta Bloomberg. E si critica che i creditori locali di Evergrande vengano pagati “mentre i creditori offshore sono nel limbo”. E chi sono tali creditori offshore? Bene, nientemeno che BlackRock e HSBC e Blackstone, che puzzava di bruciato e cercava di sbarazzarsi di quasi tutte le sue cravatte di Evergrande.

Wall Street ora è furiosa e denuncia la “nazionalizzazione soft” di Evergrande perché la soluzione scelta riguarda i locali e non gli stranieri (Reuters, 20 ottobre) e perché il governo provinciale del Guangdong ha sospeso l’accordo per venderla una controllata di Evergrande (Evergrande Owned Services) perché non co vede chiaro sull’operazione. Perché la chiave dell’operazione sta nel fatto che non è l’azienda, vale a dire gli imprenditori privati, a vigilare sulla situazione, ma i governi, in questo caso del Guangdong dove si trova la filiale. Immagino sia superfluo dire che il governo è il Partito Comunista Cinese. Poiché il governo, cioè il PCC, ha chiesto ai governi locali di mitigare le conseguenze sociali ed economiche mentre le imprese statali e municipali prendono il controllo di tutte le proprietà locali di Evergrande mettendole a disposizione della popolazione.

Inoltre, i timori di Wall Street sulla “nazionalizzazione soft” non sono nuovi perché furono annunciati dal governo cinese: Evergrande può uscire dalla situazione senza aiuti, da sola, ma se non lo fa verrebbe promossa la nazionalizzazione, l’azienda verrebbe divisa in settori e al capitalismo cinese verrebbe inferto un ulteriore colpo dopo quelli già avuti (e quelli che si avranno ancora). Questo va ancora raggiunto perché Evergrande, sostenuto dal governo, lotta per uscire da sola dalla crisi. Ma questa possibilità c’è ancora, presente e annunciata. Perché ciò che non è noto in occidente, o nascosto, è che in Cina è lo Stato che possiede il terreno dove avvengono le costruzioni e lo concede in locazione a promotori immobiliari per periodi prestabiliti. Pertanto, ciò che fa è bonificare la terra da tutto ciò che contiene, mentre compensa l’azienda per il tempo rimasto di affitto.

In occidente sanno già che il capitalismo cinese è in difficoltà perché lo voleva il Partito Comunista, perché il governo ha deciso di combattere il pericolo dei colossi finanziari, pericolo che potrebbe, condizionare e sconvolgere il cammino verso la “società moderatamente prospera”, verso quella “prosperità comune” annunciata col 14° Piano quinquennale. Questo è dove il tutto comincia. Quello che vediamo è un altro esempio di come si taglia l’erba sotto i piedi dei sostenitori del sistema finanziario che si guarda allo specchio occidentale, ultra-speculativo e deregolamentato. Per questo in Cina si parla di “rivoluzione profonda”. Questo è il nocciolo della questione: in Cina la “prosperità comune” è al di sopra dei creditori stranieri, in occidente è il contrario. Perché la differenza tra Lehman ed Evergrande è come l’acqua col petrolio, la prima operava nel “libero mercato”, dove lo Stato non esiste, e la seconda in un mercato regolamentato dove decide lo Stato.

Il ritorno al villaggio

E chiaro che c’è un ritorno dal capitalismo al popolo, da una trasformazione economica trentennale guidata dal capitale a una trasformazione che nell’ultimo decennio ha guardato al popolo e inizia a puntare su di esso fino al 2035. È la “rivoluzione profonda”, una sorta di ritorno all’intenzione originaria del PCC, come riporta il “Quotidiano del popolo” nell’edizione del 1 settembre: “Dobbiamo combattere il caos del grande capitale (…) perché il mercato dei capitali non può più diventare il paradiso dei capitalisti per arricchirsi subito… e l’opinione pubblica non dovrà adorare la cultura occidentale. E un fatto da tenere a mente di questo articolo è la conclusione: “Se la Cina si fidasse dei capitalisti per combattere l’imperialismo USA, subirebbe la stessa sorte dell’Unione Sovietica”.

Il “Quotidiano del Popolo” è l’organo ufficiale del Partito Comunista, quindi bisogna tener conto di ciò che pubblica. Quindi questo articolo dice che c’è una nuova era in Cina, e la fase di Deng Xiaoping di “non importa se il gatto è bianco o nero, basti che cacci i topi” inizia a finire.

A rigor di termini, la fase di Deng (1980-2000) fu il trampolino di lancio ufficiale per la nuova politica economica di stampo leninista, cioè dove la “fase primaria del socialismo” richiedeva la crescita dei mercati e del capitale privato. Ma, a differenza della NEP di Lenin, ciò fu dare carta bianca al capitale privato e al mercato.

Nel 2000, un anno dopo la morte di Deng, la Cina entrò nell’Organizzazione mondiale del commercio coll’approvazione occidentale, in particolare di Stati Uniti, entusiasti dell’ascesa del capitalismo cinese. Ma, da lì iniziò il cambiamento che ora si cristallizza: nel 2003, con Hu Jintao alla segreteria generale del PCC, un timido ritorno alle origini cominciò a parlare di “socialismo scientifico”, welfare sociale e socialismo” che stranamente fu interpretato dall’occidente come rafforzamento del capitalismo cinese e maggiore liberalizzazione politica.

E Hu fu sostituito da Xi Jinping e ciò che iniziò in via provvisoria prese velocità. Fino ad arrivare a quello che è adesso sconvolgendo il capitalismo occidentale anche se già nel 2017 furono poste solide basi. Quello fu l’anno del 19° Congresso del PCC e ciò che fu approvato è l’origine di tutto ciò che accade oggi e si sviluppa col 14° Piano quinquennale. Tra le altre cose, molto semplificate e riassunte, questo congresso affermò che il PCC dovrò optare per un approccio al benessere pubblico centrato sul popolo; migliorare i mezzi di sussistenza e il benessere delle popolazioni come obiettivo principale; praticare i valori fondamentali socialisti tra cui marxismo, comunismo e socialismo in stile cinese, e migliorare la disciplina nel Partito.

Vale a dire, maggiore ideologizzazione e senso del collettivo. Può darsi che in occidente si pensasse che questo non fosse un problema poiché è un discorso che si usa anche se non praticato. La differenza è che in Cina le parole sono serie ed entrano nella prassi e che l’ultimo punto è cruciale: “L’analisi di Marx ed Engels delle contraddizioni nella società capitalista non è superata, né è sorpassata la visione storica materialistica secondo cui il capitalismo è destinato morire e il socialismo a vincere. (…) La ragione fondamentale per cui alcuni nostri compagni hanno ideali e convinzioni vacillanti è che le loro opinioni mancano di una solida base nel materialismo storico”. In altre parole, la Cina si sbarazza del capitalismo compulsivo occidentale (capitalismo finanziario improduttivo, destabilizzante, monopolistico) per costruire capitale sociale e orientarsi verso un’economia statale (una NEP leninista). La Cina non si libera del capitalismo, almeno per ora, ma pone limiti sempre più severi ai capitalisti e sempre secondo gli interessi dello Stato. Questo include ovviamente il capitale straniero. Per questo il capitalismo occidentale è sotto shock, con improvviso calo del flusso sanguigno dovuto alle misure cinesi.

… senza dimenticare il passato

Anche il discorso ufficiale oggi in Cina guarda al passato. Nel passato maoista. Il termine “prosperità comune” fu usato per la prima volta nel 1953 e identificava il socialismo dei contadini. Quindi, era un concetto usato, a suo modo, da Deng sottolineando che la “prosperità comune” poteva essere raggiunta quando alcune regioni (zone economiche speciali) e persone si arricchivano prima come modo per arricchire tutti.

Il dilemma, come lo pongono gli osservatori esteri, è se l’interpretazione ora data a “prosperità comune” abbia o meno connotazione maoista. Per ora non è chiaro se questa sia la versione maoista, ma quello che è chiaro è che non è nemmeno di Deng.

In Cina ci sono ancora esperienze pilota in quasi tutto: come fecero con le ZES, ora lo fanno con lo yuan digitale (in alcune città) e, l’ignoto, con la “prosperità comune”. In questo caso, viene svolto dalla provincia di Zhejiang (60 milioni di persone), a sud di Shanghai, e nelle aree in cui il lavoro è concentrato sulla riduzione del costo dei bisogni primari, con enfasi sulle disuguaglianze; costruzione di alloggi sociali; aumento della spesa per i servizi sociali (da parte del governo locale che, a sua volta, incita, laddove l’occidente dice di dovere, i milionari a donare); evidenziare il valore collettivo in relazione al singolo; prestiti a tasso agevolato per le fasce più povere della società; stimolare le infrastrutture da parte delle imprese statali e locali; riduzione dei negozi di lusso e incoraggiamento della prosperità per le piccole imprese.

Ognuna di queste cose prese isolatamente non infastidirebbe le orecchie occidentali, ma prese insieme sono l’opposto del capitalismo occidentale. Perché, ad esempio, se i lavoratori possono acquistare alloggi sociali economici (edilizia sociale), perché dovrebbero acquistare alloggi costosi? Il fattore speculazione scompare senza il minimo dubbio. Perché, in termini marxisti, se le case non hanno valore d’uso (cioè non vengono vendute), logicamente non hanno valore di scambio (sono disabitate e i loro prezzi scendono fin quando possederle non diventa insostenibile). In Cina si agisce quasi come in occidente, con la differenza che ora il meccanismo gira nell’altro senso.

C’è stato anche un tempo (soprattutto quando esisteva l’URSS) in cui l’occidente costruiva alloggi sociali, ma dopo la scomparsa di questo pericoloso specchio, smise di farlo a causa del “libero mercato” e dei “flussi di mercato”. Oggi, per il fatto che non siamo ancora usciti dalla crisi del 2008, accentuata da quella del COVID-19, si torna a parlare timidamente ma col qualificatore “provvisorio”. Cioè, per resistere alla tempesta. Ed è importante. Perché in Cina non è una misura temporanea ma permanente e se questa “prosperità comune” funziona (ed è per questo che l’esperienza pilota dello Zhejiang è importante) sarà uno specchio importante dove tutto il mondo potrà guardarsi. Ecco perché per l’occidente la politica seguita dalla Cina è una grande sfida, perché lo mette davanti allo specchio.

Nota

1) Alberto Cruz: “La Cina prende una svolta anticapitalista”

Alberto Cruz è giornalista, politologo e scrittore. Il suo nuovo libro è “Le streghe della notte. Il 46° reggimento aviatori sovietici Taman durante la seconda guerra mondiale”, pubblicato da La Caída con la collaborazione di CEPRID e che è già alla terza edizione. Gli ordini possono essere effettuati a libros.lacaida@gmail.com o ceprid@nodo50.org


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