Il Venezuela oggi: complessità e menzogne * Quest’articolo è stato preparato (per la rivista costaricense “La Libertad”, # 6, 2007) da un membro del collettivo redazionale della rivista venezuelana “El Libertario”, in risposta a un inconsistente sforzo di stabilire impossibili affinità tra chavismo e anarchismo. 1) Uno dei risultati dello scontro tra borghesie cui si assiste in Venezuela, da quasi dieci anni, è il trasferimento della sua polarizzazione mediatica sul terreno internazionale. Questa visione, parziale e banalizzata, può confondere alcuni spiriti libertari non sufficientemente navigati. Sembra essere il caso del compagno Rogelio Cedeño, autore del testo: “Il Venezuela di oggi, dalla realtà ai media”, pubblicato sul numero 5 della rivista La Libertad del Costa Rica. Cedeño, con un gioco di prestigio intellettuale, chiede per la situazione sociale del Costa Rica ciò che nega per quella del Venezuela: una visione non manichea ma problematizzatrice. Mentre il movimento che si oppone al TLC è inquadrato come “un movimento molto pluralista che rompe con gli schemi semplicistici basati sulla esistenza di una presunta polarizzazione tra destra e sinistra”, nel secondo scenario le forze non allineate con il governo rappresentano “la violenza e il cinismo brutale delle forze della reazione”, ansiose di tornare ai giorni della democrazia adeco-copeyana. Strana argomentazione, dato che nel paragrafo appena precedente, il compagno aveva affermato che “le visioni in bianco e nero risultano di scarsa utilità per coloro che continuano a pensare e a scommettere sulla possibilità di un mondo migliore”. Veduta, quest’ultima, condivisa da una costellazione di gruppi della sinistra rivoluzionaria venezuelana che, malgrado siano ignorati dalla propaganda padronale e statale, rifiutano tanto il passato quanto il presente e continuano, controcorrente, a scommettere sul futuro. 2) Cedeño ripropone la logica e la storia costruite dal palazzo del governo di Caracas. Sull’onda della mitomania chavista, individua come genesi delle “dinamiche politiche e sociali del cambio di secolo”, e “dell’emergere di una situazione rivoluzionaria” in Venezuela, i tentativi di golpe militare guidati dallo stesso Chávez nel 1992. Una retrospettiva storica, confermata da diverse ricerche, colloca invece l’inizio del declino puntofijista a metà degli anni ’80  quando, in conseguenza della crisi economica, una serie di movimenti sociali catalizzarono lo scontento dei cittadini, avendo un’esplosione brutale durante i fatti del “Caracazo”. In quel febbraio del 1989 una rivolta popolare si oppose all’imposizione di un pacchetto di misure di taglio neoliberista. E questo tessuto sociale si sviluppò mediante differenti dinamiche, originando formalmente le prime organizzazioni per i diritti umani, reti ecologiste e di donne, associazioni studentesche e di quartiere, così come a partire dai conflitti operai e dalle nicchie controculturali. Tale volontà di cambiamento, generata da una molteplicità di soggetti, è ciò che Chávez capitalizza per il suo trionfo elettorale. Il Venezuela conferma così le parole di Cornelius Castoriadis: la rivolte popolari del Terzo Mondo sono sempre incanalate e recuperate da una nuova burocrazia.  3) Noi anarchici venezuelani rifiutammo il colpo di stato dell’aprile 2002 come anche, a suo tempo, quelli che si erano verificati dieci anni prima. Allo stesso modo abbiamo denunciato la deformazione e la manipolazione dei fatti. La storia è lunga e complessa, mi limiterò a confutare le affermazioni fatte proprie da Cedeño. Per quanto sia indubbio che il presidente Chávez contò, l’11 aprile, su di una certa mobilitazione in suo favore, quantitativamente la manifestazione contro di lui fu considerevolmente più grande. Inoltre, ci furono vittime in entrambi gli schieramenti – non solo dal lato chavista come si suggerisce – e l’istituzione di una “Commissione  della  verità”, che giudicasse quanto accaduto in maniera imparziale, fu boicottata con lo stessa energia dai deputati della maggioranza e dell’opposizione. Per quanto le mobilitazioni del 13 aprile e del mattino del 14 siano state significative, esse non “fermarono il fascismo” né “contennero le forze della reazione”. Il golpe contro il presidente Chávez e il suo successivo ritorno furono sostanzialmente una trattativa portata avanti a tavolino tra militari. Le evidenze sono numerose, tuttavia, per motivi di spazio, mi limiterò a una: nessun militare fu giudicato per la sua partecipazione ai fatti. 4) L’autore si domanda le ragioni per cui ampi settori delle classi popolari s’immedesimano nella figura presidenziale. Alcune risposte potrebbero trovarsi nelle matrici culturali del continente, che hanno catalizzato l’apparizione di diversi populisti e caudillos di ampia base sociale, come Perón in Argentina e Trujillo nella Repubblica Dominicana. Senza andare molto lontano, la storia stessa del Venezuela è una lunga successione di caudillos militari e civili che contarono, a suo tempo, su un deciso appoggio di settori popolari: Juan Vicente Gómez, Marco Pérez Jiménez, Rómulo Betancourt e Carlos Andrés Pérez. Tuttavia, amplificando la mistificazione statalista, Cedeño preferisce le spiegazioni lineari di natura metafisica. Una popolazione impoverita da decenni proietta le sue necessità in una massa che prende forma nella figura di Hugo Chávez, trascendendo a sè stessa nella misura in cui il governante “risponde a una serie di domande e ingiunzioni” del popolo. Soffermiamoci su questo punto, giacchè la propaganda circa le politiche sociali obnubila meno noi che gli estranei. Il nostro paese vive una delle maggiori bonacce economiche degli ultimi trent’anni, conseguenza degli alti prezzi del petrolio. E, di fronte a questa abbondanza di risorse, le politiche sociali messe in pratica, esclusivamente per mezzo delle cosiddette “misiones”, sono superficiali e insufficienti. Questo non lo diciamo noi anarchici, lo affermano le organizzazioni non governative che controllano lo stato dei diritti umani nel paese. Mentre noi subalterni riceviamo le briciole del festino a base di oro nero, una nuova burocrazia – chiamata “boliburguesía” nel gergo popolare – ha fatto la sua comparsa rinforzando il ruolo che ci ha assegnato la globalizzazione economica: quello di fornire, in maniera “sicura e affidabile”, energia al mercato internazionale; lasciando da parte le questioni riguardanti le conseguenze sociali e ambientali del modello di sviluppo minerario. Recentemente il presidente Chávez ha sintetizzato in una frase il progetto dell’elite rossa al potere: socialismo petrolifero. 5) Indipendentemente dalla ristrutturazione dello Stato, dalla ricomposizione della governabilità e dall’ossigenazione “democratica” in Venezuela – lesa seriamente durante i saccheggi del Caracazo del 1989, cattivo esempio per i paesi della regione – è possibile suggerire che il fenomeno chavista rinvigorisca processi di organizzazione democratici e autogestionari? L’Esecutivo nazionale ha più volte imposto dall’alto differenti e successivi modelli organizzativi che hanno ipotecato l’autonomia della base chavista, eclissando dirigenze locali, elettoralizzando agende e dinamiche, e imponendo logiche militarizzanti e un partito unico. La “partecipazione” è possibile solo se è innocua, e il “protagonismo” è inesistente. Esistono iniziative interessanti nella base dello chavismo, ma sono le eccezioni che confermano la regola: in questo campo, le iniziative sono proprietà esclusiva del “Primer Mandatario”. Ne sono esempi la riforma costituzionale che attualmente si discute in stretto segreto, o le attribuzioni straordinarie, la “Ley Habilitante”, che danno al presidente il potere di promulgare leggi per decreto. Citerò una delle meno conosciute. Per mandato dall’alto, una commissione pluralista, la Conarepol, fu incaricata di disegnare un nuovo modello di polizia. A tal fine, nel corso di un anno, si fecero 70.000 consultazioni con differenti soggetti in tutto il paese, coinvolgendo comunità colpite dalla violenza in uniforme. Una sola frase bastò per scartare il modello presentato dalla Conarepol: “E’ un progetto di destra” - e ora una centralizzazione della polizia è stata decisa unilateralmente dentro la Habilitante. In questo margine dei Caraibi non siamo soggetti a “deja vú” per la CNT-FAI del 1936 e non ci lasciamo confondere dalla risemantizzazione della demagogia. L’anno scorso 402 prigionieri, provenienti dalle classi popolari, sono morti violentemente nelle carceri della “rivoluzione bolivariana”. Inoltre, più di 60 leader sindacali e di quartiere sono stati processati per aver partecipato a scioperi, blocchi stradali e manifestazioni per esigere i loro diritti. Il popolo non si sentirà meglio se il bastone che lo colpisce si chiamerà palo del popolo, diceva Bakunin. Noi libertari creoli abbiamo assunto l’atteggiamento di qualunque anarchico conseguente: tener testa al potere e stare con gli oppressi, unendo fini e mezzi, costruendo spazi di libertà con giustizia e rifiutandosi di essere vittime o carnefici. Gli “appoggi critici”, le “alleanze tattiche”, gli entrismi e le mezze tinte le lasciamo ai politicanti, come quelli che oggi abbondano in Venezuela, che ingrassano se stessi e i propri conti in banca,  vaneggiando di un socialismo del XXI secolo, cesareo e militare, con epicentro a Caracas.