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Germania: La fine dell’illusione socialdemocratica

mercoledì 28 novembre 2012 di CEPRID

Alberto Cruz

Traducido por Centro di Cultura e Documentazioni Popolare

I socialdemocratici della SPD tedesca hanno già il loro candidato per affrontare Angela Merkel alle elezioni di settembre del prossimo anno. E’ Peer Steinbrück, ex ministro delle finanze nel primo governo della cancelliera, nel governo di coalizione tra cristianodemocratici e socialdemocratici tra il 2005 e il 2009. Per quasi tutta la sua vita politica ha ricoperto posizioni di responsabilità su temi economici e finanziari, non solo nel governo federale, ma anche nei Länder di Schleswig-Holstein e della Renania Settentrionale-Vestfalia. E’, dunque, l’uomo perfetto per la SPD per cercare di spodestare la Merkel dalla cancelleria tedesca e che indica al resto d’Europa come andranno le cose in Germania: continuare con il controllo soggiacente all’UE e marcarne il corso economico.

Steinbrück è uno dei maggiori esponenti dell’ala destra della SPD, sempre che ci sia qualche altra ala in questo partito al di là di alcune critiche puntuali o particolari posizioni in qualche determinato Land. E’ stato eletto all’unanimità dai 35 membri del comitato esecutivo per "catturare l’elettorato di centro", come riconoscono nella SPD. Questa scelta della SPD, al di là che venga definita come "un passo avanti", rappresenta in realtà, molti passi indietro. Altri passi indietro nel percorso che iniziò alla fine del 1990, dopo il crollo del muro di Berlino.   Da allora parlare di socialdemocrazia non è altro che un’illusione che è stata mantenuta perché interessa al capitalismo. La socialdemocrazia è semplicemente l’altra faccia della medaglia capitalista e, quindi, non vi è alcuna alternanza politica nei governi, ciò che eufemisticamente chiamano "centro-sinistra" e "centro-destra", ma che non tocca l’essenza del sistema capitalista. Chi comanda è il capitalismo, ed ora, quello finanziario.   Steinbrück è, inoltre, il preferito da tutti i mezzi di comunicazione tedeschi visto che viene considerato come il massimo rappresentante del "modello tedesco" che viene promosso dal suo partito dal 2003 - la SPD è stata il precursore delle politiche neoliberali, dei tagli sociali e nel dare la priorità al "mercato" prima che al cittadino - e che con tanto sforzo adesso sostiene la Merkel, cioè la riduzione della spesa pubblica con la scusa di combattere la crisi. Dare uno sguardo a tutti gli editoriali pubblicati dopo la sua nomina è abbastanza illuminante su ciò che ci attende nel caso sia in grado di sconfiggere la Merkel: lodi e ricordi di come liberalizzò le banche e tagliò l’assistenza sociale per aiutare a superare la crisi provocata dalla caduta della Lehman Brothers, che, a sua volta, causò un piccolo terremoto nel sistema bancario tedesco che venne risolto con l’attivazione di un fondo di salvataggio di 480 milioni di euro... a spese del contribuente.   Non deve sorprendere l’amore che gli dimostrano i cosiddetti mezzi di comunicazione perché con questo tipo di politiche fu il responsabile del più grande disastro subito dalla SPD in Renania Settentrionale-Vestfalia in tutta la storia del partito, recuperata solo adesso, alle elezioni di maggio di quest’anno per la saturazione della politica della Merkel. Il motivo per cui la SPD ha recuperato il governo in questo Land non è dovuto solo a questo fattore, che è il fattore determinante, ma anche al fatto che il nuovo candidato ha fatto del suo meglio per allontanarsi da ciò che fece Steinbrück e che adesso sostiene nuovamente. Ad esempio, parlando di una politica dura verso il settore finanziario e per questo ha vinto. C’era chi, all’interno della SPD, riteneva che il nuovo leader della Renania Settentrionale-Vestfalia, Hannelore Kraft, fosse l’ideale per far si che SPD recuperasse la sua essenza socialdemocratica, ma era solo un’illusione. Non gode di sostegno all’interno del massimo apparato del partito. Va bene per un Land, ma non per l’intero paese, perché il suo discorso non sarebbe in grado di "approcciarsi al voto conservatore". La fine dell’illusione socialdemocratica e tutta una dichiarazione di principi su quello che oggi è la SPD.   Ciò lo sa fare Steinbrück, che non parla contro il settore finanziario, ma che si limita a parlare di una "migliore regolamentazione". Non c’è da stupirsi. Steinbrück è un uomo molto ben relazionato con aziende come Porsche, Telekom o ThyssenKrupp, del quale è stato un alto dirigente. E non c’è da meravigliarsi che la SPD votasse in blocco a favore del "patto fiscale e di stabilità" promosso dalla Merkel perché, come hanno ripetuto all’infinito i cosiddetti mezzi di comunicazione, "votando contro, l’SPD si sarebbe posto nella marginalità politica."   Steinbrück rappresenta un ritorno alle stesse e terribili politiche promosse dall’SPD dal 1995 fino al 2005 - in coalizione con i Verdi, non va dimenticato - in ogni governo, sia nei Länder che nel governo federale e poi nel governo di coalizione con la CDU (cristiano-democratici, il partito di Angela Merkel) e SPD dal 2005 al 2009, quando la CDU ebbe la maggioranza necessaria per sbarazzarsi della SPD e formare un governo con i liberali del FDP. Successivamente, Steinbrück non ha avuto remore a parlare di "regolamentazione dei mercati finanziari" (2008), quand’era ministro delle Finanze, ma non mosse un dito per rendere ciò possibile. Adesso torna a parlare della stessa cosa.

Otto milioni di lavoratori poveri

In tutto questo processo, secondo i dati della principale centrale sindacale tedesca, la Deutscher Gewerkschaftsbund (DGB, Confederazione dei Sindacati Tedeschi), la situazione occupazionale è diventata grave come negli altri paesi europei. La precarietà colpisce 7,7 milioni di lavoratori, con unincremento del 45% negli ultimi dieci anni, e sono le agenzie di lavoro interinale che sono passate quasi a monopolizzare i contratti al posto del collocamento pubblico. In questo decennio, 2002-2012, questo tipo di contratti è cresciuto del 150%. I lavoratori poveri sono già 8 milioni nella Mecca del capitalismo europeo, 2,3 milioni dei quali sono giunti a questa tragica situazione a partire dal 2010 fino ad oggi. Questa cifra rappresenta il 23,1% della popolazione attiva della Germania. E del totale di 8 milioni di lavoratori poveri il 63%, poco più di 5 milioni, sono donne. Per loro, il governo della Merkel ha promosso il cosiddetto "mini-job", un lavoro part-time, che non è soggetto a contributi previdenziali da parte dei datori di lavoro. I "mini-job" non sono malvisti dalla SPD.   Ma, anche riconoscendo che SPD ha una grande parte di responsabilità in questa situazione, i sindacati tedeschi sono restii a tagliare i rapporti con la socialdemocrazia e promuovono chiaramente il "male minore". Perché da sempre è stata la socialdemocrazia che li ha alimentati in epoche d’abbondanza e quella che gli ha permesso di moderare il malcontento nei momenti di debolezza o quando al governo ci sta l’altra faccia della medaglia capitalista, la CDU. Come adesso. Tuttavia, vi è un sindacato integrato nella DGB che considera che un male è un male. E’ il caso della IG Metall, che ha fatto un passo per andare oltre, guadagnando forza che ha mantenuto sia con il governo federale che con il padronato ottenendo un aumento salariale per quest’anno del 4,3%, due volte l’inflazione, divenendo così un punto di riferimento per gli altri sindacati e lavoratori dal momento che è il maggior incremento dei salari in Germania dal 1992. Ciò non è stato gradito nella SPD.   C’è poco da essere sorpresi dal fatto che il comitato esecutivo della SPD abbia votato all’unanimità per Steinbrück come candidato cancelliere, nonostante abbia espressamente rifiutato di specificare quale sarebbe il programma giusto per sconfiggere la Merkel. Non si menziona nessuna autocritica per il comportamento neoliberale del partito negli anni precedenti, né se la SPD continuerà a mantenere l’età di pensionamento a 67 anni o vorrà abbassarla - una delle richieste principali della società tedesca - niente di niente. Steinbrück dice di aver bisogno di "spazio per muovere le sue gambe", vale a dire, di "catturare l’elettorato centro".   Le prime iniziative del candidato socialdemocratico si limitano a conferenze e interviste nelle quali si parla di "difendere le conquiste della democrazia", con qualche timido riferimento allo "Stato Sociale". Naturalmente, non specifica come. Ciò lo dice apertamente anche la Merkel. Tuttavia i sondaggi danno la SPD al 29% dei voti che insieme al 12% dei Verdi, li collocano al 41%, mentre la CDU avrebbe il 35% e i liberali il 4%. Quindi, quasi in parità. A meno che si rifaccia la grande coalizione CDU-SPD del 2005-2009, le uniche alternative possibili per far si che l’SPD vada al governo sono o la "coalizione semaforo" (SPD-Verdi-liberali) o una coalizione con i Verdi (nessun dubbio che si verificherà di nuovo) e raggiungendo inoltre accordi con altre forze politiche. Ma ce ne sono solo due: il Partito Pirata (7%) e Die Linke (8%). E Steinbrück ha già espresso che o da alleato attivo o passivo non si alleerà "mai e poi mai con i rossi, gli stalinisti e gli amanti della Repubblica Democratica Tedesca", tutti aggettivi che ha usato per descrivere Die Linke.   Il Partito della Sinistra (Die Linke) è uscito da un processo difficile, dopo aver perso la rappresentanza che aveva nella maggior parte dei Länder, soprattutto nella parte occidentale del paese, dal momento che mantiene la sua forza ad Est, nell’ex RDT. Le loro percentuali qui sono oltre il 15% e ci sono località in cui ottiene anche il 30% del sostegno. Devono essere questi coloro a cui Steinbrück si riferisce con disprezzo. L’8% che le danno i sondaggi non è male se si considera la sconfitta sofferta nelle elezioni di inizio maggio in Renania Settentrionale-Vestfalia, dove ottenne solo il 6% a livello federale (nelle elezioni del 2009 aveva raggiunto il 12%). E’ cresciuta di due punti in tre mesi come conseguenza del suo rinnovato impegno nel suo recente congresso di giugno per rafforzare l’approccio di sinistra, senza indebolirlo come voleva un settore del partito, i "realisti", che sostenevano l’impostazione socialdemocratica. Questa discussione per la posizione nei confronti della SPD, ha immerso Die Linke in un profondo dibattito interno che ha paralizzato l’organizzazione in aspetti chiave quali le riconversioni industriali o le chiusure delle imprese di carbone e acciaio. Tuttavia, adesso è riemersa con forza ponendo l’accento sulle questioni sociali e economiche, segnando una linea netta tra sinistra e destra, dal momento che questa è insensibile a temi quali l’istruzione, la sanità, gli alloggi e alimentazione decenti. Il discorso della Die Linke è chiaramente contro le grandi banche, le gigantesche corporation industriali e il coinvolgimento militare della Germania in paesi come l’Afghanistan. Vedremo se le aspettative saranno soddisfatte nelle elezioni del prossimo gennaio nel Land della Bassa Sassonia.   Il candidato della SPD è l’ideale per il capitalismo tedesco in questo momento. La crisi europea inoltre sta coinvolgendo la Germania, le sue esportazioni ne risentono. L’Institut für und Makroökonomie Konjunkturforschung (IMK, Istituto di Politica Macroeconomia) riconosce che la tendenza della Germania è verso il basso (sono scese del 3,1% le esportazioni nei paesi dell’area dell’euro quest’anno) senza prospettive di ripresa a breve e medio termine. Di conseguenza, si accentuano le politiche di austerità che sono il segno distintivo della Merkel e della SPD, dato che fu questo partito a lanciarle durante il governo di Gerhard Schroeder, e ciò implica che gli operai tedeschi si vedono sempre di più minacciati dalla precarietà lavorativa, i tagli e i licenziamenti. Qui vale la pena ricordare che durante il governo SPD (1998-2001) l’allora ministro delle Finanze, Oscar Lafontaine, si scontrò con il cancelliere Schroeder perché intendeva dare una svolta alla politica economica e, invece di potenziare il settore delle esportazioni spingeva per potenziare la domanda interna alzando i salari e la spesa pubblica. Lafontaine perse la partita e finì per lasciare non solo il governo nel 1999, ma anche l’SPD nel 2005 e oggi è uno dei pilastri della Die Linke.   Non si è, dunque, molto lontani da una situazione di combattività - facendo le debite proporzioni - come nei paesi del sud dell’Europa. Ma mentre la è controllabile, in particolare per la debolezza sindacale, in Germania, significherebbe la morte dell’Unione europea se i sindacati la portassero avanti. E questo lo può evitare solo la socialdemocrazia. Questa è la carta che gioca il capitalismo. Dopo tutto, sia SPD che CDU concordano che l’unica soluzione alla crisi passa dalla Germania e questo significa in primo luogo la rettitudine fiscale, anche se con qualche piccolo differenza, su austerità e crescita.

Verso "l’ordoliberalismo" 

La SPD ha chiaramente rinunciato ai parametri classici della socialdemocrazia, poiché non vi è più il minimo riferimento a Keynes e si è addentrata in quello che gli economisti chiamano "ordoliberalismo", una scuola di pensiero tipicamente tedesca emersa negli anni 1930-40 e che, essendo conservatrice e di destra, si differenzia dai neoliberali classici perché considera la possibilità di una certa regolamentazione dei mercati, soprattutto quelli finanziari. La Tobin tax va in questa direzione. Secondo le dichiarazioni e proclami di Steinbrück, questa posizione è destinata a diventare uno dei tratti distintivi della SPD. La socialdemocrazia europea sta svoltando verso "l’ordoliberalismo". Difende sempre con maggiore impegno i suoi approcci (politica fiscale e alcuni aspetti macroeconomici nelle mani del governo, mentre si da seguito alla privatizzazione del settore pubblico, anche altre questioni starebbero solo in mano padronale e, nel caso dei salari, anche dei sindacati) e questo discorso si sente adesso con maggiore intensità anche in alcune organizzazioni fino ad ora socialdemocratiche di Francia, Spagna, Italia e Grecia.   Si può dire, quindi, che le proposte della SPD, che non sono altro che quelle già presentate nel 2009, ma più edulcorate per "catturare i voti del centro", sono diventate il punto di riferimento per tutti i socialdemocratici europei, soprattutto del Sud. Significa rilanciare le esportazioni sulla base della riduzione della domanda interna e del consumo, vale a dire, salari più bassi e meno protezione sociale. In sintesi, sono le stesse cose che avanzano coloro che difendono il neoliberalismo. L’unica cosa che differenzia gli "ordoliberali" dai neoliberali è il grado di austerità che sarebbe necessario per promuovere e valorizzare l’esportazione in quanto entrambi concordano sulla necessità di ridurre il deficit pubblico dello Stato per "recuperare la fiducia dei mercati", ossia del capitalismo. Per i primi, è indispensabile mantenere una certa stabilità sociale, per quest’ultimi, non importa il costo, perché la priorità è il deficit. Ma entrambi coincidono nella difesa estrema del sistema capitalista. Nonostante la retorica, assistiamo alla fine della socialdemocrazia e cercano di nascondere la sua morte facendo sembrare un passo in avanti, quelli che in realtà sono due o più passi indietro.


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