Passo dopo passo la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga
durata (GPRdiLD) va imponendosi nel movimento comunista come strategia
universale della rivoluzione proletaria. La situazione rivoluzionaria in
sviluppo spinge tutti i comunisti ad adottare una strategia e la GPRdiLD è la
strategia indicata dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione
proletaria mondiale.
Oggi molti sintetizzano il malessere e il malcontento generali nella
richiesta di un mondo diverso dall’attuale. Tra questi vi sono gli
altermondialisti. Alcuni sono dei sognatori più o meno geniali. Noi li
chiamiamo idealisti. Sono come i socialisti utopisti del tempo antico di cui
Marx ed Engels parlano nel Manifesto del partito comunista del 1848.
1 Ognuno di loro mette avanti, espone e propone i suoi desideri e le sue
“medicine miracolose” per “i mali del nostro tempo”. Secondo noi materialisti
dialettici, invece, il “rimedio ai mali del nostro tempo”, cioè al capitalismo
è dettato dai presupposti che il capitalismo stesso ha creato. Consiste nella
sua eliminazione mediante la lotta di classe e nella sostituzione dell’ordinamento
sociale borghese con il socialismo tramite la rivoluzione socialista. Questa
trasformazione, come ogni altro fenomeno naturale e sociale, si svolge secondo
leggi sue proprie. I comunisti di ogni paese devono proporsi di scoprirle e
applicarle consapevolmente e coerentemente. Solo così riusciremo a costruire un
mondo diverso dall’attuale.
La storia del movimento comunista e in particolare la prima ondata della
rivoluzione proletaria forniscono una massa di esperienze della lotta della
classe operaia per eliminare il potere politico della borghesia, instaurare il
proprio potere politico e incominciare la trasformazione dei rapporti sociali.
Per scoprire quelle leggi bisogna 1. studiare ed elaborare l’esperienza
passata, internazionale e del proprio paese e 2. studiare ed elaborare
l’esperienza della lotta di classe che si svolge attorno a noi. È così che
passo dopo passo costruiamo una teoria scientifica della rivoluzione socialista
nel nostro paese, la teoria che dobbiamo applicare in modo consapevole e
sistematicamente nella nostra attività rivoluzionaria, la strategia della
GPRdiLD in Italia.
Alcuni ci rimproverano di voler imitare la via seguita nel secolo scorso in
Cina dai comunisti cinesi per condurre la rivoluzione di nuova democrazia.
2 In realtà proprio questi nostri critici evitano di esaminare l’esperienza
delle lotte fatte dalla classe operaia nel nostro paese e in altri paesi
imperialisti e di trarre da quella esperienza, in particolare dai suoi successi
e dalle sue sconfitte, la strategia con cui condurre la rivoluzione socialista
nel nostro paese, che è uno dei principali paesi imperialisti.
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Negli articoli pubblicati su La Voce e dedicati alla strategia della
GPRdiLD noi abbiamo mostrato che l’esperienza della lotta per il socialismo nei
paesi imperialisti (in particolare in Europa e nel nostro paese) insegna, con i
suoi successi ma soprattutto con le sue sconfitte (di cui i nostri critici si
ostinano a non voler spiegare le cause coerentemente con il materialismo
dialettico), che la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga
durata è la sintesi delle leggi secondo cui si sviluppa la rivoluzione
socialista. Le sconfitte finora subite dal movimento comunista in Europa e nel
nostro paese sono dovute principalmente al fatto che i partiti comunisti
non hanno seguito consapevolmente la strategia conforme alle leggi dell’opera
che cercavano di dirigere: non la conoscevano e non erano costruiti per attuare
quella strategia. Hanno cercato di compiere l’opera senza una conoscenza
sufficiente delle leggi sue proprie. È principalmente questo che ha reso vani
gli eroici sforzi profusi dai sinceri comunisti che erano la stragrande
maggioranza dei membri di quei partiti. È principalmente questo che ha permesso
che in quei partiti l’influenza della borghesia aumentasse fino a raggiungervi
il predominio e condurli alla corruzione e alla disgregazione.
Mao Tse-tung ci ha dato l’elaborazione più compiuta della strategia
universale della GPRdiLD. Egli l’ha elaborata applicandola al caso particolare
della rivoluzione di nuova democrazia di un paese semifeudale e semicoloniale
come la Cina della prima metà del secolo XX. La sua elaborazione è riferita al
caso particolare ed è comprovata dal successo della rivoluzione di nuova
democrazia che egli ha diretto. In essa vi sono, mischiati con gli elementi
particolari, anche gli elementi universali. Chiarendo che bisogna distinguere
le leggi universali dalle leggi particolari della GPRdiLD, nel suo articolo
pubblicato sul n. 17 di La Voce , il compagno Umberto C. ha chiarito un
punto importante che impediva che la strategia fosse adottata e applicata
universalmente.
Alcuni nostri critici continuano a dirci: “In Italia i contadini sono una
piccola parte dei lavoratori, sono produttori di merci integrati nel sistema
imperialista, dipendono per la loro attività dalle banche, dai monopoli, dallo
Stato borghese e dalla Unione Europea: come è possibile che le campagne
accerchino le città?”. Essi contrappongono alle condizioni specifiche del
nostro paese le forme particolari assunte dalla rivoluzione di nuova democrazia
in alcuni paesi oppressi, semifeudali e semicoloniali, dove la questione
agraria, la rivoluzione democratica e la liberazione nazionale costituivano il
contenuto della rivoluzione proletaria. Essi eludono il compito di preparare,
progettare e organizzare la rivoluzione socialista nel nostro paese sulla base
delle sue specifiche caratteristiche: trarre da queste caratteristiche
specifiche le leggi della rivoluzione nel nostro paese e applicarle. Tutta la
loro scienza si riduce a dire che prima o poi la rivoluzione scoppierà, che
prima o poi la classe operaia insorgerà. Ma in tutti i movimenti rivoluzionari
che la classe operaia ha condotto in Europa, e in specifico nel nostro paese,
le insurrezioni, ad esempio quelle dell’aprile 1945, sono sempre state il
momento culminante di un movimento rivoluzionario che ne ha creato le
condizioni. E hanno portato (in Russia) o avrebbero portato (in Italia, in
Francia e in altri paesi) all’instaurazione del nuovo potere solo tramite una
guerra civile. Già Engels aveva riconosciuto che la rivoluzione socialista non
poteva avere la forma di una insurrezione popolare analoga a quelle avvenute
durante le rivoluzioni borghesi. 3
In realtà i nostri critici rifiutano l’insegnamento di Lenin che le
rivoluzioni proletarie, e in particolare le rivoluzioni socialiste, devono
essere preparate, progettate e persino organizzate dal partito comunista.
4 Questo non vuole dire che le rivoluzioni avvengono a comando del partito
comunista, che il partito comunista può indire la rivoluzione quando vuole, che
la rivoluzione consiste in un colpo di mano o in un colpo di Stato scatenato
dal partito comunista. Del resto, neanche uno sciopero o una manifestazione di
piazza il partito li indice quando vuole: li indice solo dopo aver creato o
dopo che si sono create le condizioni perché abbiano successo. Preparare la
rivoluzione vuol dire che le mille operazioni e attività che il partito
comunista conduce nei campi più vari e la stessa costruzione del partito devono
confluire in una strategia consapevole e definita che porta alla mobilitazione
rivoluzionaria delle masse popolari che elimineranno il potere della borghesia
(distruggeranno il suo Stato) e instaureranno il potere della classe operaia
(lo Stato della dittatura del proletariato). Il partito deve già oggi lavorare
per arrivare a dirigere la lotta di classe, la resistenza che le masse popolari
oppongono al procedere della seconda crisi generale del capitalismo,
all’eliminazione delle conquiste, al coinvolgimento nelle aggressioni dei paesi
oppressi e nelle guerre imperialiste, alla distruzione dell’ambiente e delle
condizioni di vita, all’emarginazione e all’abbrutimento di massa, ecc. con
efficacia tale che alla borghesia non resti, per imporre alle masse popolari
queste “delizie” (di cui la borghesia non può fare a meno), che ricorrere alla
repressione di massa, allo stato d’emergenza e alla guerra civile. Il partito
deve però anche preparare le condizioni per batterla sul terreno decisivo della
guerra civile. Queste condizioni non si improvvisano: sono il frutto della
linea che seguiamo già oggi. Non esistono quindi per noi comunisti due tempi
(buoni e pacifici oggi, armati domani quando “scoppia” la rivoluzione).
Esistono tappe diverse dello stesso movimento rivoluzionario. Ogni tappa è in
funzione della tappa successiva. Ogni tappa presenta forme diverse della lotta
di classe o, meglio, una combinazione diversa delle varie forme della lotta di
classe. Da una tappa all’altra cambia la forma della lotta di classe che è
principale.
Quando oggi si dice che in Perù, nel Nepal, nelle Filippine, in Turchia, in
India è in corso la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, si dice una
cosa vera, ma la si dice in modo da creare confusione. In realtà la GPRdiLD è
in corso in ogni paese in cui esiste un partito comunista che applica la
strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata consapevolmente
e con coerenza tra teoria e pratica. La differenza sta nel fatto che in quei
paesi la GPRdiLD ha già assunto la forma più o meno sviluppata della guerra
civile. Ma identificando guerra civile e GPRdiLD, la parte con il tutto e
riducendo la GPRdiLD alla guerra civile, si consolida un grave pregiudizio dei
nostri avversari, opposti o no che siano nominalmente alla strategia della
guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata: il pregiudizio che questa
consista per la sua essenza nello scontro armato tra forze rivoluzionarie e le
forze armate dei reazionari. 5
Abbiamo più volte mostrato e chiarito che nella sua essenza la guerra
popolare rivoluzionaria di lunga durata consiste nella mobilitazione delle
masse popolari contro la borghesia imperialista (nella rivoluzione socialista)
o contro le forze feudali, l’imperialismo e i suoi agenti locali (nella
rivoluzione di nuova democrazia) e nella loro aggregazione attorno al partito
comunista, avanguardia organizzata della classe operaia, per condurre sotto la
sua direzione la rivoluzione.
I nostri critici riducono la rivoluzione socialista allo scontro armato tra
le forze rivoluzionarie e le forze armate della borghesia. Certo lo scontro armato
tra le forze rivoluzionarie e le forze armate della borghesia è una parte
inevitabile della rivoluzione socialista. Ma esso è solo l’aspetto decisivo e
conclusivo della rivoluzione, un passaggio risolutivo e inevitabile. Non
assumerlo come tale e non tenerne il debito conto già oggi (come fanno gli
opportunisti e gli avventuristi) è sbagliato. In realtà la borghesia prepara
già oggi la guerra civile: prepara forze armate controrivoluzionarie mercenarie
e le altre condizioni per la guerra civile e di certo non abbandonerà il potere
senza impiegarle contro le masse popolari, per conservare il suo potere e
imporre la continuazione del suo ordinamento sociale.
In generale nei paesi capitalisti la rivoluzione proletaria non è mai
incominciata da uno scontro armato tra forze armate di partito e le forze
armate della borghesia. Neanche la Comune di Parigi incominciò in questa
maniera: nacque dalla guerra franco-prussiana, come prosecuzione della
resistenza delle masse popolari di Parigi all’invasione prussiana dopo la
caduta dell’Impero di Napoleone III. 6 Tanto meno iniziarono così la rivoluzione d’Ottobre, la Resistenza, ecc.
Guardate l’esperienza concreta del nostro paese e di altri paesi imperialisti.
Sono la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e le contraddizioni
proprie della borghesia stessa (la repressione di massa, i colpi di Stato, le
guerre in cui essa ha invischiato le masse popolari per far valere i propri
interessi, ecc.) che hanno condotto alla guerra civile e allo scontro armato.
“Trasformare la guerra imperialista in guerra civile”, fu la parola d’ordine
lanciata da Lenin all’inizio della prima guerra mondiale. I suggerimenti che
egli negli anni 1915 e 1916 diede all’ala rivoluzionaria del partito
socialdemocratico della Svizzera (un paese imperialista), mostrano cosa egli
intendesse per attuazione di quella parola d’ordine in un paese imperialista (vedere in proposito il volume 23 delle Opere ).
Più volte nella storia del nostro paese e degli altri paesi imperialisti ci
si è trovati alla soglia della guerra civile tra borghesia e proletariato. Ci
si è trovati ogni volta che, per il concorso delle più varie circostanze, la
mobilitazione delle masse sotto la direzione del partito comunista era tale che
le masse non subivano più pacificamente le manovre della borghesia, che le
masse popolari rifiutavano in vari campi e su scala abbastanza vasta di
sottostare alle imposizioni della borghesia, che la borghesia non riusciva più
a imporre alle masse popolari i suoi interessi con la divisione, l’imbroglio,
la demagogia, ecc.: insomma senza ricorrere alla repressione di massa, allo
stato d’emergenza, alla guerra civile.
Nel corso dell’attuale crisi generale del capitalismo la vita dei paesi
imperialisti è per sua natura tale che la borghesia riesce a conservare il
proprio potere senza coinvolgere le masse popolari in scontri armati e nella
guerra civile solo 1. se le masse popolari subiscono senza limiti i tormenti e
l’abbrutimento del baratro senza fondo in cui la borghesia ci sta spingendo e
2. se riesce a mobilitarle ai suoi ordini per saccheggiare e depredare altre
nazioni e altri paesi. Cioè se non esiste un vero partito comunista
marxista-leninista-maoista. Di conseguenza in questi anni il compito del nostro
Partito è promuovere e organizzare in ogni campo la resistenza delle masse
popolari al procedere della seconda crisi generale del capitalismo in modo tale
che 1. la loro resistenza sia efficace (che la borghesia non riesca a soffocare
e abbrutire le masse popolari) e 2. le masse popolari siano in grado di far
fronte con successo alla guerra civile che prima o poi la borghesia imperialista
scatenerà per imporre a tutti i costi i suoi interessi. Questo è in sintesi il
compito storico dei comunisti in questa fase. Tutto il loro lavorio teorico e
tutta la loro pratica, tutti i loro sforzi e tentativi, tutta la loro
sperimentazione di forme di organizzazione, di costruzione del Partito, di
lavoro di massa, di propaganda, di agitazione, di organizzazione delle masse,
di forme di lotta, ecc. devono ricondursi consapevolmente e coerentemente a
questo compito storico. In caso contrario si tratta di accademia, di ginnastica
a vuoto, di deviazione.
Promuovere la resistenza ma non prepararsi a far fronte alla guerra civile,
sarebbe da parte nostra essere incoscienti e avventuristi, al modo degli
esponenti massimalisti del vecchio PSI. 7 Se consideriamo la storia del nostro paese, vediamo che più volte la lotta
di classe è arrivata ai bordi della guerra civile o addirittura alla guerra
civile (il Biennio Rosso all’inizio degli anni ’20, la Resistenza e gli ultimi
anni ‘40) o che vi sarebbe arrivata se le masse popolari non avessero subito le
imposizioni e il terrore instaurato dalla borghesia (gli anni a cavallo tra il
secolo XIX e il secolo XX, l’intervento nella prima guerra mondiale, gli anni
’70). Con un’attività più appropriata del partito comunista dell’epoca,
probabilmente la lotta di classe avrebbe assunto più frequentemente le
caratteristiche della guerra civile. La stessa cosa mostra la storia degli
altri paesi imperialisti. In tutte queste circostanze l’elemento che mancò fu
la preparazione del partito comunista dell’epoca a guidare le masse popolari ad
affrontare con successo la guerra civile che la borghesia imponeva o
minacciava. Invece che guidare le masse popolari ad avanzare, il partito
impreparato le lasciò senza guida o le indusse ad arretrare e a sottomettersi,
oppure, come in Spagna nel 1936, partecipò alla guerra civile sotto la
direzione della borghesia di sinistra.
È della trasformazione della guerra di sterminio non dichiarata in guerra
civile e della preparazione del partito, della classe operaia e delle masse
popolari alla guerra civile che dobbiamo parlare, facendo tesoro
dell’esperienza passata e dell’esperienza corrente. Non dell’accerchiamento
delle città a partire dalle campagne, del ruolo principale dei contadini, di
zone liberate (reali o metaforiche) e di altre forme che la guerra popolare
rivoluzionaria di lunga durata ha assunto in paesi con una composizione di
classe e una storia radicalmente diverse da quelle del nostro paese. La
discriminante più importante oggi tra quanti si dicono e si credono comunisti,
è tra quelli che sono consapevoli che ci troviamo in una situazione
rivoluzionaria e adeguano la loro attività ad essa e quelli che negano che la
situazione attuale è rivoluzionaria, si cullano nel fatto che non sono ancora
in corso scontri armati, che le masse popolari non sono ancora scese sul
terreno della guerra civile (cosa che succederà solo se i comunisti sapranno
suscitare una resistenza e una mobilitazione rivoluzionaria delle masse
popolari adeguate per non subire le imposizioni della borghesia).
Man mano che avanziamo e per avanzare con maggiore sicurezza, con meno
errori e più rapidamente, noi dobbiamo elaborare ed effettivamente elaboriamo
le leggi particolari che segue la rivoluzione socialista nel nostro paese,
oltre che capire meglio ed elaborare più chiaramente le leggi universali della
nostra strategia. Il Piano Generale di Lavoro del Partito, stabilito all’atto
della sua fondazione nell’ottobre del 2004, traduce tali leggi in direttive
d’azione per la prima fase della GPRdiLD. Non si tratta di speculare e tirare
ad indovinare quali saranno nel nostro paese (o nei paesi imperialisti in
generale) le forme della GPRdiLD nei tempi a venire e nelle successive fasi
della GPRdiLD (che sarebbe voler dedurre le forme concrete dal concetto). Si
tratta di costruire e arricchire il concetto a partire dalle manifestazioni
(forme) concrete che la lotta di classe ha assunto e assume. A questo fine
dobbiamo
1. cercare di scorgere e comprendere alla luce della teoria della GPRdiLD
le forme che la lotta di classe ha assunto nei paesi imperialisti (e nel nostro
paese in particolare) nella prima ondata della rivoluzione proletaria;
2. cercare di scorgere e comprendere quali sono le tendenze nella lotta di
classe che si svolge attorno a noi e a cui partecipiamo, quali di queste sono
da sostenere e rafforzare e quali dobbiamo contrastare perché la GPRdiLD
progredisca verso la seconda fase: insomma le tendenze e le controtendenze che
sempre esistono in ogni situazione.
In questo modo, correggendo i nostri errori e imparando dall’esperienza,
noi scopriamo le leggi della rivoluzione socialista nel nostro paese e le
applichiamo. Costruiamo così “la via al socialismo nel nostro paese” e la
teoria che la riflette. In ogni paese (che è distinto dagli altri perché ha una
sua “società civile”, una sua particolare cultura, una sua tradizione o un suo
Stato), i comunisti devono infatti elaborare sulla base dell’esperienza una
propria teoria rivoluzionaria. 8
A questo fine è importante anche liberarci di luoghi comuni e pregiudizi
che intralciano la nostra libertà di pensiero, la nostra capacità di vedere e
la nostra attività.
Uno di questi pregiudizi è particolarmente vigoroso nel nostro paese e
soprattutto tra i giovani che non hanno vissuto o comunque non conoscono
abbastanza la “lotta armata degli anni ‘70”. Il pregiudizio che confonde la
guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata con la lotta armata condotta da
Organizzazioni Comuniste Combattenti (OCC), sostenuta nel nostro paese dalle
nuove Brigate Rosse e dai compagni “eredi” della Seconda Posizione delle vecchie
Brigate Rosse. I compagni di l’Aurora per la costruzione del Partito
Comunista Politico-Militare nell’ultimo fascicolo della primavera del 2006
basano su questa confusione molte delle loro argomentazioni. Altri, compagni e
no, sulla base di questo pregiudizio attribuiscono al (n)PCI una “teoria dei
due tempi” (lotte pacifiche oggi e la lotta armata domani, la costruzione del
Partito oggi e la lotta armata domani). 9
Come concezione (come strategia), la lotta armata condotta da gruppi di
comunisti (le OCC), non ha nulla a che vedere con la guerra popolare
rivoluzionaria di lunga durata né col maoismo. La costituzione e l’attività
delle OCC corrispondono a una strategia che non deriva dal maoismo, ma dalle
teoria della “propaganda armata” elaborata da alcuni rivoluzionari dell’America
Latina (Marighela, Tupamaros, ecc.).
Quali sono le principali ed essenziali differenze tra la strategia della
GPRdiLD e la strategia della “lotta armata delle OCC”?
Gli strumenti della GPRdiLD sono il partito, il fronte delle classi e delle
forze rivoluzionarie, le forze armate rivoluzionarie.
Quindi anzitutto, le forze armate rivoluzionarie sono solo uno dei tre
strumenti della GPRdiLD e non il principale, salvo che in fasi particolari
della GPRdiLD. Anche quando le masse popolari devono far fronte alla guerra
civile e lo scontro militare diventa la forma principale della lotta di classe,
questo non è mai l’unica forma della lotta di classe. La stessa mobilitazione
delle masse popolari sul terreno della guerra civile è frutto della costruzione
e formazione del Partito. Senza l’iniziativa del vecchio PCI non ci sarebbe
stata la Resistenza. Tra tutte le condizioni della GPRdiLD, la costruzione e
formazione del Partito è quella decisiva e la più difficile da realizzare. Il
fattore decisivo è la costruzione di un partito comunista capace di dirigere
almeno le forme principali dell’attuale movimento delle masse secondo
una linea rivoluzionaria.
In secondo luogo le forze armate rivoluzionarie non sono costituite da
comunisti. Alcuni comunisti fanno parte delle forze armate, sono promotori
delle forze armate e assicurano l’orientamento rivoluzionario delle forze
armate. Il partito comunista dirige le forze armate rivoluzionarie. Ma le forze
armate previste nell’ambito della strategia della GPRdiLD sono composte dalle
masse popolari, arruolano elementi delle diverse classi delle masse popolari,
come facevano gli Arditi del popolo negli anni ‘20, come facevano le Brigate
Garibaldi durante la Resistenza (1943-1945), come fece il V Reggimento
all’inizio della guerra civile in Spagna (1936-1939) e come fecero persino le
Brigate Internazionali che portarono aiuto alle masse popolari spagnole contro
il colpo di Stato dei generali. Le forze armate rivoluzionarie sono una forma
di mobilitazione e di organizzazione delle masse popolari promossa dal partito
comunista, non sono una forma di organizzazione dei comunisti. Esse svolgono il
loro ruolo nella GPRdiLD proprio perché mobilitano le masse popolari a far
fronte anche militarmente alla guerra civile che la borghesia scatena per
conservare il suo regime e il suo ordinamento sociale.
Al contrario le OCC sono organismi composti unicamente da comunisti che
operano con le armi. Le OCC sono “organizzazioni di partito”. La lotta armata
delle OCC è condotta unicamente da comunisti. Secondo questa strategia, il
partito comunista dovrebbe nascere ed essere costituito da gruppi armati che
con il proprio esempio, colpendo i reazionari, colpendo gli interessi dei
reazionari, ecc. convincerebbero le masse popolari che ribellarsi è giusto e
possibile, susciterebbero una ribellione crescente tra le masse popolari e
contemporaneamente indurrebbero i reazionari a limitare le loro vessazioni,
impedirebbero questa o quella manovra dei reazionari. Il principale ostacolo
allo sviluppo della lotta di classe oggi sarebbe la mancanza di esempi di lotta
armata. Il fattore decisivo sarebbe la creazione di OCC, gruppi di comunisti
che praticano la lotta armata e con la loro attività fanno vedere alle masse
cosa esse dovrebbero fare. Questa linea politica implica una concezione della
società e della lotta di classe diversa dal marxismo e dal patrimonio teorico
che il movimento comunista ha costruito nella sua storia dalla fondazione a
oggi.
I fautori della lotta armata delle OCC costituiscono gruppi armati e
puntano a che un po’ alla volta, grazie al loro esempio, il movimento delle
masse assuma le forme organizzative e i metodi di lotta dei loro gruppi armati.
Noi lavoriamo per prendere la direzione delle forme di lotta che compongono
l’attuale movimento delle masse, ne facciamo scuole di comunismo e componenti
della lotta rivoluzionaria per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.
La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (come la linea di massa,
la lotta tra le due linee nel partito, la rivoluzione di nuova democrazia) è la
coscienza finalmente raggiunta della linea che il movimento comunista ha
seguito nella sua lunga storia, sia pure inconsapevolmente e quindi in modo
approssimativo e incoerente (donde i suoi successi e le sue sconfitte). La
strategia della lotta armata delle OCC invece è una invenzione sorta negli anni
60 del secolo scorso, in un periodo di sbandamento del movimento comunista
(dominato dai revisionisti moderni). I suoi inventori non hanno mai preteso di
“connetterla” con la storia precedente e universale del movimento comunista, né
di trovare il suo fondamento nell’esperienza di questo.
Quando nella prima metà degli anni ’70 in Italia si costituirono le vecchie
Brigate Rosse, esse erano la punta più avanzata del movimento rivendicativo
delle larghe masse del nostro paese, in particolare del movimento rivendicativo
degli operai. Cercavano di dare ad esso uno sbocco politico che il PCI,
dominato dai revisionisti, negava. Esse contenevano in sé una doppia natura: 1.
la volontà di ricostruire il partito comunista come Stato Maggiore
rivoluzionario del movimento di massa quale era, perché potesse ulteriormente
svilupparsi (linea comunista); 2. la volontà di sostituire con il proprio
esempio un movimento armato al movimento di massa quale era (linea
militarista). La lotta tra queste due linee costituisce la vera storia
razionale delle vecchie BR, dà ragione dei loro successi e del loro fallimento.
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Il legame tra lotta armata delle OCC e guerra popolare rivoluzionaria di
lunga durata è stato suggerito 1. dal fatto che ogni guerra popolare rivoluzionaria
prima o poi diventa scontro tra forze armate, 2. dal fatto che in Cina, negli
anni ’20 del secolo scorso, il PCC prese ben presto, a solo sei anni dalla sua
fondazione, la direzione di forze armate popolari e già prima, alla sua
fondazione, svolse un ruolo importante nelle forze armate rivoluzionarie
nazionaliste. Ma Mao ha spiegato chiaramente che erano alcune particolarità
della Cina che hanno reso possibile e necessaria questa forma della lotta di
classe fin dai primi anni della vita del partito comunista. 11 Del resto Mao si è ben guardato dall’universalizzare tutte le leggi della
guerra popolare rivoluzionaria cinese. Al contrario ha più volte sottolineato
che occorre tener conto delle condizioni particolari del momento storico e del
paese. 12
Un’altra obiezione che alcuni fanno alla strategia che noi proponiamo è che
si tratterebbe di “un piano costruito a tavolino”. Essi infatti mettono avanti
che è impossibile stabilire a priori “come andranno le cose” in una rivoluzione
che è fatta dalle masse popolari. Si tratta di un’obiezione che dobbiamo
esaminare in dettaglio. Infatti in essa sono implicite molte questioni di
grande importanza. Esaminare questa obiezione, ci permette di esaminare a fondo
le sue implicazioni.
Chi oggi ci obietta che la nostra strategia è “un piano costruito a
tavolino”, contesta che sia possibile stabilire una strategia che guida tutto
il lavoro del partito comunista. Ogni strategia sarebbe “un piano costruito a
tavolino”. Sovrapporrebbe al libero, spontaneo sviluppo della rivoluzione
dettato dalle azioni e reazioni delle masse popolari e dall’attività consapevole
e spontanea di una moltitudine di attori non coordinati tra loro, un piano che
noi comunisti cercheremmo di imporre allo sviluppo delle cose. Il problema
implicito in questa obiezione quindi si riduce al seguente: “È possibile
tracciare una strategia della rivoluzione proletaria?”. Noi rispondiamo che non
solo è possibile, ma è anche necessario, indispensabile, vitale tracciare una
strategia. E in effetti, che lo si costruisca a tavolino o seduti su un
muricciolo o sotto un albero, è innegabile che ogni nostra strategia è un piano
costruito dai comunisti, artificioso, non esiste in natura né è una verità
rivelata. Noi sosteniamo che nel processo “pratica-teoria-pratica”, occorre
ricavare dalla pratica una teoria e con essa guidare la nuova pratica. Il problema
è se la teoria, che si elabora dalla pratica compiuta e con cui si intende
guidare la nuova pratica, è giusta oppure no.
Questa obiezione che oggi viene fatta alla strategia che noi seguiamo e
proponiamo non è un’obiezione nuova. Da quando siamo entrati nell’epoca
imperialista e la preparazione consapevole della rivoluzione (strategia-piano e
organizzazione-piano) è stata posta (da Engels e poi Lenin) all’ordine del
giorno, ai comunisti è stata mossa questa obiezione. Nei partiti comunisti (che
allora si chiamavano socialdemocratici) si è avuta una lotta accanita tra due
linee su questa questione, anche se non sempre la questione è stata posta
apertamente. È la questione del ruolo che nella rivoluzione spetta all’elemento
cosciente e organizzato e della relazione dell’elemento cosciente e organizzato
con la spontaneità. In altri termini è la questione del ruolo del partito
comunista e della teoria rispetto al movimento spontaneo: quello che avviene
senza che il partito lo abbia previsto nella sua teoria e promosso con
l’attività delle sue organizzazioni.
Lenin fu il campione che condusse la lotta 1. per affermare il ruolo
dell’elemento cosciente e organizzato contro chi lo negava o sottovalutava e 2.
per stabilire il giusto rapporto tra questo e la spontaneità, contro chi negava
il ruolo e l’importanza del movimento spontaneo (e immaginava, auspicava o
voleva costruire un movimento diverso da quello reale). Nel partito
socialdemocratico russo, a partire dal 1905 in poi, vi fu una lotta accanita
tra i leninisti (i bolscevichi) che sostenevano che occorrevano una strategia
(strategia-piano) e una preciso piano organizzativo (organizzazione-piano) e i
menscevichi. Questi sostenevano che i leninisti avanzavano pretese impossibili,
burocratiche, autoritarie. Essi sostenevano che strategia e struttura
organizzativa non era possibile definirli, che i comunisti dovevano essere
“liberi” da ogni strategia, disposti ad adattarsi a quello che avveniva
(strategia-processo, organizzazione-processo).
L’esperienza ha dimostrato che senza il fattore organizzato e cosciente è
impossibile condurre con successo alcuna rivoluzione proletaria. Anzi, solo il
fattore organizzato e cosciente rende possibile una rivoluzione proletaria.
Certo, come in ogni campo, anche nella lotta di classe la teoria è sempre più
povera della realtà, la realtà è infinitamente conoscibile. Possono darsi nella
vita di una società svolte e avvenimenti imprevedibili. Un partito
rivoluzionario, oltre ad essere allenato a mettere in campo le più diverse e
contrastanti operazioni tattiche, deve anche essere capace di cambiare
strategia se si verificano nella realtà avvenimenti che stravolgono il corso
che le cose stavano seguendo. Un partito rivoluzionario deve essere capace di
cambiare strategia se cambiano le condizioni che l’avevano dettata, se si
presentano possibilità d’azione impreviste. Deve essere capace di tener conto
nella sua pratica dei fattori non previsti, improvvisi, nuovi. Non deve
sviluppare la sua strategia in modo pedante, appesantendola di dettagli che non
servono a guidare la sua attività presente ma proiettano nel futuro idee,
aspirazioni e sentimenti del presente e particolari (“il menù dell’osteria
dell’avvenire”). Ma elaborare la propria teoria sulla realtà è una cosa,
rinunciare alla teoria è un’altra. Sarebbe lavorare alla cieca, essere sorpresi
dagli avvenimenti, rinunciare al materialismo dialettico e storico. Questi
infatti ci insegnano che anche nello sviluppo dell’umanità, la libertà e la
creatività di migliaia e milioni di individui e gruppi sociali danno luogo a un
processo che segue sue proprie leggi che noi possiamo scoprire e impiegare
nella lotta di classe. Gli opportunisti si oppongono a discutere e tracciare
una strategia, sostengono che bisogna navigare a vista, cogliere le
opportunità, proprio perché discutere e tracciare una strategia vuol dire
mettere in campo la divisione di classe, considerare gli interessi contrastanti
e antagonisti delle classi, l’azione che ogni classe svolge in conformità ai
suoi interessi, ecc. Insomma gli opportunisti non vogliono tracciare una
strategia perché non possono proporre apertamente la sottomissione della classe
operaia e delle altre classi popolari alla borghesia e non vogliono “legarsi le
mani”: subordinare la loro attività agli interessi della classe operaia. Oggi
l’espressione di moda è che subordinarsi agli interessi della classe operaia è
essere “ideologici”.
Noi comunisti dobbiamo elaborare una strategia, applicarla e via via
arricchirla e precisarla con il bilancio dell’esperienza. La strategia del
(n)PCI è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Noi stiamo
compiendo la prima fase di questa guerra proletaria. I compiti del (n)PCI in
questa fase sono riassunti nel nostro Piano Generale di Lavoro. Noi non
nascondiamo che ci prepariamo a far fronte alla guerra civile che prima o poi
la borghesia imperialista scatenerà, quando non avrà altro modo per imporre
alle masse popolari le nefandezze del suo regime e del suo ordinamento sociale,
cioè quando, grazie all’attività del Partito, la resistenza delle masse
popolari sarà diventata più efficace. Nel futuro verso cui la borghesia
imperialista ci costringe, le sofferenze per le masse popolari saranno tanto
minori quanto più esse saranno preparate a far fronte alle pretese e alle
manovre della borghesia, alla guerra civile, alla “guerra preventiva” che è
l’ultima sua risorsa per protrarre la sua esistenza, i suoi privilegi, la sua
barbarica “civiltà”.
Nicola P.
La Voce 25
NOTE:
1 Si veda anche F. Engels, Il socialismo
dall’utopia alla scienza , edizioni Rapporti Sociali.
2 Come esempio di questi nostri critici indichiamo
i redattori della rivista Teoria & Prassi . Volentieri riconosciamo
ai redattori di T&P il merito di occuparsi apertamente di strategia. La
loro insistenza ad attribuirci una strategia diversa da quella che noi
largamente propagandiamo rivela invece disonestà intellettuale di fronte alla
mancanza di obiezioni valide.
3 F. Engels, Introduzione alla riedizione del 1895
dell’opuscolo di K. Marx Lotte di classe in Francia 1848-1850 . La tesi
di Engels è ripresa e illustrata nell’opuscolo Federico Engels - 10, 100,
1000 CARC per la ricostruzione del partito comunista (1995), edizioni
Rapporti Sociali. Quando la rivoluzione borghese è matura, un’insurrezione
popolare che rovescia il vecchio governo, quale che ne sia lo spunto, trova
nella “società civile” una gerarchia, una struttura di potere già costituita
dalle correnti relazioni economiche e, più generalmente, sociali: questa
struttura forma il nuovo governo. Nella rivoluzione proletaria un’insurrezione
che rovescia il vecchio governo apre la via all’avvento di un governo
proletario solo se il movimento politico delle masse popolari che ha
preceduto l’insurrezione, ha creato un potere alternativo al potere esistente, capace
di prendere il posto del potere che l’insurrezione ha rovesciato.
4 Per farsi un’idea di ciò che Lenin intendeva con
“preparare la rivoluzione” in una situazione rivoluzionaria in sviluppo (in
concreto nel corso della prima guerra mondiale), si legga lo scritto Posizioni
di principio sul problema della guerra (dicembre 1916) a proposito
dell’attività del Partito socialista svizzero, reperibile sul sito internet
http://lavoce-npci.samizdat.net .
5 Questo pregiudizio è tanto diffuso che ai
redattori della “rivista marxista-leninista” belga Clarté (n. 6,
dicembre 2006, pag. 33) dire che stiamo conducendo una guerra popolare
rivoluzionaria di lunga durata senza fare lotta armata sembra un abuso di
linguaggio o una truffa politica. Se i redattori studiassero gli argomenti che
legano la strategia della GPRdiLD all’esperienza rivoluzionaria dei paesi
imperialisti (e non solo quelli che la legano alla esperienza dei paesi
oppressi), argomenti che abbiamo più volte esposto in La Voce ,
risolverebbero facilmente il dubbio che li tormenta.
6 K. Marx, La guerra civile in Francia (1871).
7 In proposito si veda il Rapporto della
sezione di Torino del PSI , redatto sotto la direzione di A. Gramsci nel
maggio 1920, reperibile nel sito Internet del (n)PCI http://lavoce.samizdat.net,
sezione Classici/Gramsci.
8 “Ogni rivoluzionario pensa con la sua testa”: ci
obietteranno alcuni lettori. Certamente. Come ogni chimico pensa con la sua
testa, ma non per questo ogni chimico si costruisce una chimica sua personale,
una sua personale teoria dei legami atomici e molecolari, delle reazioni
chimiche, ecc. L’oggetto della riflessione essendo lo stesso per tutti, anche
la sua ricostruzione nel cervello di ciascuno dei rivoluzionari, salvo errori,
è la stessa con maggiore o minore ricchezza di dettagli e ampiezza dell’insieme
da un individuo all’altro. A chi si oppone per principio al “pensiero Gonzalo”,
al “sentiero di Prachanda”, ecc., in nome della “libertà di pensiero” di ogni
individuo, provate a chiedere se alla stessa stregua si oppone alla meccanica
di Newton, alla relatività di Einstein, al sistema periodico di Mendelejev o
alle altre innumerevoli teorie scientifiche che hanno assunto ognuna il nome
del loro più illustre scopritore e portavoce.
9 Il giornalista “esperto di terrorismo” Gianni
Cipriani, direttore del Centro Studi Strategie Internazionali ci attribuisce
tale teoria “dei due tempi” in un suo articolo ( Seconda posizione. Basi
movimentiste per una nuova organizzazione combattente che si rifà al modello
maoista ) pubblicato sul n. 4, dicembre 2006 della rivista di
intelligence del CESINT.
10 Per un bilancio più complessivo dell’attività
delle vecchie Brigate Rosse, vedere l’opuscolo di Pippo Assan, Cristoforo
Colombo (1988), reperibile sul sito Internet del (n)PCI, sezione
Letteratura comunista.
11 Perché in Cina può esistere il potere rosso?
(5 ottobre 1928) in Opere di Mao Tse-tung Edizioni Rapporti Sociali
vol. 2.
12 Vedansi in proposito, tra l’altro, le note,
nell’edizione cinese delle Opere scelte di Mao, agli scritti Perché
in Cina può esitere il potere rosso? (pag. 142 vol. 2 nelle Opere di Mao
Tse-tung delle Edizioni Rapporti Sociali) e Problemi strategici della
guerra partigiana antigiapponese (pag. 171 vol. 6 nelle Opere di Mao
Tse-tung delle Edizioni Rapporti Sociali). Si veda anche Alcune
esperienze storiche del nostro partito in Opere di Mao Tse-tung delle
Edizioni Rapporti Sociali, vol. 13 pag. 203 e segg.