Editoriale di El Libertario [# 38, 2004] * Contro vento e marea, il portavoce della Commissione di Relazioni Anarchiche del Venezuela nuovamente scende in strada, per affrontare il manicheismo truffatore che oggi opprime la scena politico-sociale di questo paese e proponendo alternative conseguenti di libertà e uguaglianza in solidarietà. Con la convocazione dei referendum revocatori dei mandati del Presidente della Repubblica e di diversi deputati dell’Assemblea Nazionale, si apre una tornata elettorale - tenendo in conto i suoi differenti momenti - di per lo meno tre anni di durata. Comincia in questo modo un periodo oscuro per i movimenti sociali di diverso segno del paese, poichè la elettoralizzazione della crisi legittima solo le dirigenze delle due fazioni neoliberiste (chavismo verticista e opposizione mediatica) che attualmente si contendono il paese. Tra le tante conseguenze che questa realtà implica, ne metteremo in risalto solo due: l’accentuazione del ricatto acritico e la subordinazione delle rivendicazioni concrete alla logica suprema dell’accumulazione politico-partitica. Uno dei risultati dei custodi del potere di entrambe le parti è aver ottenuto mediaticamente una polarizzazione politica dei Venezuelani, manicheismo falso poichè l’azione economica di entrambi favorisce il capitale internazionale e si mostra ad esso come garanzia di governabilità e attaccamento ai canoni del formalismo democratico. In un discorso vuoto di proposte e contenuto, ciascuna fazione demonizza l’avversario e si presenta a se stessa come la garanzia di valori astratti - la "rivoluzione" o "la libertà"- promossi discorsivamente ed emozionalmente attraverso i propri mezzi di comunicazione. Se intendiamo ciascun conglomerato come un partito, possiamo facilmente constatare come ciascuno esiga dai suoi affiliati un appoggio incondizionato, nel quale tutti gli errori o compromessi sono sempre attribuibili all’eterna cospirazione degli avversari. Le domande autocritiche, quando si fanno, si fanno a bassa voce; se si ventilano troppo, i propri compari le zittiscono con la frase "non devi dare armi al nemico". Rispondendo con "spirito di corpo", militanti onesti di base si sono ridotti a giustificare l’ingiustificabile, o nei casi peggiori, a tollerare nel proprio seno, in vista della "vittoria definitiva", atti che dicono di combattere negli avversari. Se qualunque minima dissidenza interna era rapidamente tacciata di "tradimento", ora sarà praticamente autocensurata fin dall’inizio. Le dirigenze politiche delle due parti hanno bisogno di partecipazione. Le agende di ciascun movimento sociale e la loro autonomia vengono ipotecate inseguendo le congiunture decise dall’alto. Le mobilitazioni e gli sforzi di ciascuno sono diretti a legittimare la sua fazione come "la maggioranza", rimandando le proprie rivendicazioni a un momento che mai arriverà: il supposto "approfondimento del processo" o la pretesa "restaurazione della libertà". Il movimento popolare ha ceduto al ricatto e si è convertito in una mera appendice di una strategia che legittima lo Stato e i suoi meccanismi istituzionalizzati di partecipazione; lo ripetiamo, una partecipazione dalle gambe molto corte. Nonostante l’apprendistato sperimentato a partire dal 1992 - dopo Caracazo, con un crescente agire combattivo -, dal 1998 i Venezuelani sono unicamente convocati per far numero alla farsa elettorale, attaccare manifesti e iscrivere votanti. L’autonomia d’azione delle collettività oppresse - e le loro agende politiche - restano relegate in secondo piano, quando non sono esplicitamente recuperate o immobilizzate. In questo senso le esperienze castrate della presa dell’Università Centrale del marzo 2001, delle nove fabbriche "occupate" dai lavoratori, la "Costituente petroliera", le occupazioni di edifici urbani e le assemblee di quartiere dovrebbero istruirci su quale cammino evitare. Il lavoro improrogabile, nel momento attuale, è approfondire le reti sociali degli oppressi e delle minoranze, prefigurando qui ed ora le relazioni sociali liberatrici da tutte le miserie che ci opprimono. Segnalare coloro che pretendono di convincerci di scegliere il "meno peggio" e rimandare i nostri desideri a un ipotetico domani per quello che sono: burocrati - o aspiranti burocrati – in cerca di una fetta di torta. Lasciare la struttura di dominazione intatta è permettere al potere di riconfigurarsi sotto nuove forme e perpetuare la miseria, la disoccupazione, l’insicurezza sociale e la consegna dei nostri salari e delle nostre ricchezze al capitalismo globalizzato, quello che ben rappresentano i due vertici in lotta. Autogoverno, autonomia e autogestione. Sùbito!