Editorial El Libertario # 52, 2008 * Comincia a circolare il n. 52 di “El Libertario”, nel cui editoriale si riafferma l’impegno di questo portavoce dell’anarchismo venezuelano a mantenere salda una visione critica senza compromessi sulla realtà del paese, nonché la sua proposta di lotta conseguente per la libertà e l’uguaglianza nella solidarietà. L’anno è appena cominciato e già appare chiara l’agenda elettoralista con la quale di nuovo si tenterà di addomesticare le lotte sociali in Venezuela, una musica che si sta suonando senza originalità, ma con successo, da dieci anni. In vista delle elezioni per la nomina di governatori, deputati e sindaci, previste per il 16 novembre, i politicanti governativi e dell’opposizione sono entrati in campagna elettorale praticamente non appena è stata voltata la pagina del Referendum costituzione del 2-D, riproponendo ingannevolmente di rinviare la risoluzione delle istanze collettive a quando sarebbero stati eletti alle cariche alle quali aspirano. Da una parte e dall’altra si torna a raccontare la storiella, secondo la quale, vista l’importanza di queste elezioni per la “riconquista della libertà” o per “il progresso della rivoluzione”, non ci sarà niente di più importante da fare nel 2008 che favorire la loro vittoria alle urne, dopo di che questi insigni rappresentanti del popolo si occuperanno infaticabilmente e abilmente delle richieste dei loro elettori. Non sprecheremo parole per spiegare quanto tale proposta sia menzognera, perché di ciò sarà testimone chiunque abbia vissuto in questo paese e sappia per sentito dire o per esperienza ciò che è successo a coloro che sono usciti vittoriosi dalle urne, tra i quali l’unica distinzione che si potrebbe fare è tra gli inetti e i mediocremente inutili, tra i corrotti spudorati e i cauti trafficanti di voti, o tra i tecnocrati simulatori di efficienza e i demagoghi vocianti. In una cosa sono stati tutti uguali ed è nell’impegno a placare (con le buone o con le cattive) tutto ciò che è o appaia come lotta autonoma dei poveri. Né dobbiamo dimenticare due punti chiari del 2-D che tutti tacciono: da un lato, i militari finiscono di consolidare il risultato che deve essere accettato, fregandosene dei kalashnikov, cioè quello della “sovranità popolare che decide liberamente nelle elezioni”, e dall’altro, la dubbia pulizia delle posizioni elettorali creole, esemplificata in quel 15% di verbali e in quel 1.800.000 voti ancora non conteggiati dal cne in questo referendum, ufficiosamente vinto con un margine di 125.000 suffragi. Poiché la farsa è sempre la medesima e noi spettatori potremmo anche ignorarla, i comici di turno giurano e spergiurano che adesso sì, che questa volta avranno rappresentanti eccelsi, impegnati fino alla morte nella “rivoluzione” o nella “democrazia” (a seconda del frasario di ogni cricca), i quali, inoltre, combineranno un’eroica onestà (a seconda delle preferenze ideologiche: Che Guevara o Madre Teresa) con una gestione efficiente e senza pecche (anche qui, a seconda che si tratti di un manager di una multinazionale o di un commissario alle finanze delle Farc). Questi striduli canti di sirene sono già cominciati e, siatene certi, aumenteranno nei prossimi mesi, ma i loro contenuti menzogneri diventeranno evidenti, per chi voglia vederli, con la scelta definitiva dei candidati, in mezzo al consueto processo di imposizione dall’alto, trappole settarie e mascalzonate varie, per finire con il favorire gli inevitabili personaggi che da tempo ci fanno il giochino di carta vince/carta perde, insieme a qualche faccia nuova pronta a ripetere la vecchia truffa. Con un simile panorama, non abbiamo alcun dubbio sulla linea che proponiamo e che porteremo avanti per questi tempi, che è la stessa sulla quale insistiamo da anni, le cui manifestazioni concrete e le cui proposte d’azione sono raccolte nelle pagine di questo numero: la ricostruzione dell’autonomia delle lotte sociali, unica via che permetterà alle classi oppresse e sfruttate di fare passi avanti nella risoluzione dei loro problemi attuali. Nove anni sono stati più che sufficienti per rendersi conto che non c’è niente da sperare dal caudillismo messianico incarnato in Hugo Chávez, e i quattro decenni precedenti ci hanno detto quasi la stessa cosa delle burocrazie di partito, oggi all’opposizione; così, il dilemma autentico sta nel chiedersi se continueremo a salire su questo funesto carrozzone elettorale che porta soltanto a un destino di fallimento o se costruiremo un’alternativa, coniugando individualità, collettività e partecipazione consapevole, che non deleghi, ma faccia affidamento sulle nostre capacità, costruendo una organizzazione orizzontale, senza imposizioni autoritarie di alcun tipo, articolando le richieste con le capacità di soddisfarle, presenti nelle collettività. È questa la via, attraverso la quale pensiamo ci sia la possibilità di trasformare il Venezuela in modo radicale e positivo.