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"Non siamo dei delinquenti
ma c'è chi si crede negli anni 20"

Parla un agente del reparto mobile di Poggio Imperiale impegnato nei giorni scorsi al G8

GIANLUCA MONASTRA

«CREDONO di essere negli anni venti, li vedi e sembra di rivivere le pagine sulle squadracce fasciste in Cronache di poveri amanti di Pratolini. Si sentono legittimati a colpire più duro con alle spalle un governo di destra. Ma non hanno capito, così ci siamo soltanto allontanati dal resto del mondo, dopo Genova il consenso popolare mica sta tutto con noi». Reparto mobile, Poggio Imperiale. Fra un collegio e la facoltà di fisica, c'è la caserma dei cinquecento poliziotti specializzati in servizi d'ordine pubblico. C'erano anche molti di loro a Genova. Adesso riguardano le immagini degli scontri trasmesse in tv come un tormentone alla moviola, discutono, s'interrogano e uno di loro racconta. Senza nome, per evitare guai. «Non siamo un mondo di delinquenti, di gente pronta solo a picchiare, come qualcuno ci vuole dipingere. Lasciamo stare i luoghi comuni, per favore. Ma fra di noi c'è un gruppo trainante di quindici, venti poliziotti che rappresenta la guida per molti altri. Da troppo tempo stanno qui dentro, dovrebbero cambiare aria».
La sua è l'unica voce. Il comandante del reparto Roberto Di Guida rimanda all'ufficio relazioni esterne del ministero dell'Interno. Da Roma tagliano corto: «Stasera (ieri sera ndr) il capo della polizia parla al Tg5, nessun altro è autorizzato a rilasciare dichiarazioni».
Eppure, fuori la polizia è nel mirino della polemica. E mentre durante la manifestazione anti global di martedì a Firenze il corteo insultava «le divise assassine», in questi giorni, dentro la caserma, i filmati di Genova non rappresentano soltanto un ricordo fresco, ma la scintilla di mille analisi diverse. «Molti guardano la tv e scuotono la testa. Gli altri, chiamiamoli gli estremisti, no. Osservano compiaciuti, ridono e si indicano contenti quando si riconoscono col manganello in mano mentre menano in strada. Non capiscono che quando i magistrati andranno a cercare colpe e responsabilità nessuno sarà dalla nostra parte a difenderci».
Il poliziotto che racconta è da pochi anni in servizio al Reparto mobile di Firenze. Non l'ha scelto lui, ma il compito adesso gli piace. Il clima generale in caserma, un po' meno. «Ho visto saluti romani nei corridoi, immagini di Mussolini appiccicate in ufficio, brandelli di bandiere sequestrate in qualche manifestazione conservate come trofei negli armadietti. Succede anche questo qui dentro, soprattutto per colpa di quei leader che isolano chi non è d'accordo con loro. Non sono ragazzi. Alcuni sono al Reparto mobile da dieci, quindici anni. Insomma, quarantenni che in polizia hanno fatto solo ordine pubblico e mai nessun altro servizio». Anni di manifestazioni, cortei, domeniche allo stadio. Pranzi a panini, bottigliette di Cordiale in tasca, sveglie all'alba, rientri in caserma sfiniti quando è già buio. «Non è un compito facile, ma terribilmente stressante. Chi hai di fronte ti sputa addosso, lancia monete, insulta. E tu fermo, immobile, perché non puoi reagire. La rabbia sale, accumuli tensioni, reprimi l'istinto e ti senti crescere dentro un carico di violenza da non sottovalutare. Ma è faticoso, stressante. Soprattutto perché è ripetuto per mesi, anni, manifestazione dopo manifestazione. Ogni tanto dovrebbero sottoporci a test psicofisici, come in altri reparti speciali, per valutare le nostre condizioni. E invece niente, ci fanno una visita al momento dell'arruolamento e poi più niente, mai un controllo, mai una verifica. Così qualcuno scoppia e gli effetti sulla strada si vedono, perché l'ordine pubblico invece vuol dire riflessione, freddezza, capacità di analizzare il momento».
La domenica allo stadio, da anni era diventato il servizio più a rischio. Adesso no, riapparse le tensioni nei cortei, il pericolo numero uno è cambiato. «E non è la stessa cosa. Alo stadio non esiste contrapposizione ideologica, ma solo il desiderio di salvaguardare il diritto di chi vuole vedersi la partita in pace. In piazza è diverso, la gente è di sinistra, molti di noi di destra, e lo scontro diventa inevitabilmente più crudo».
L'evento speciale, poi. Come il G8, una lunga preparazione, tensioni su tensioni. «Per mesi siamo stati bombardati dalle voci. Dai servizi segreti, dai colleghi, ci arrivava all'orecchio di tutto. Verranno armati di piccone, avranno siringhe piene di sangue infetto, cercheranno lo scontro. Pensateci, immaginatevi questo martello e forse potrete capire in che condizioni sono arrivati i ragazzi schierati per le strade di Genova. Alla fine ha vinto la voglia, anzi la necessità di essere più forti di tutti. Anche della propria paura».
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