Ricevo ed inoltro.
bye
Tommaso
----
?
Ricevo da amici ed
opportunamente vi inoltro.
"Mio figlio, una maschera di
sangue"
Un padre,
famoso giornalista, racconta l'incubo del figlio, raccolto all'uscita del
carcere di Pavia, dopo essere stato arrestato e pestato a sangue dai
Carabinieri per aver cercato di filmare i cortei di Genova.
di Gian
Paolo Ormezzano
- Voleva soltanto filmare le
manifestazioni
- E' stato arrestato e pestato a sangue
- Contro di lui, soltanto un verbale-fotocopia
- Dice di aver perso i suoi ideali, io li ho
ritrovati
Un
minuto dopo essere uscito dal carcere di Pavia, liberato da un magistrato
genovese che non ha creduto all'atto di accusa stilato in fotocopia per
tanti, resistenza e lesione a pubblico ufficiale durante la contestazione al
G8, e che non ha neppure convalidato l'arresto, mio figlio ha disobbedito a
me ed a sua madre.
Gli avevo chiesto di farmi vedere tutte le ferite
coperte dagli abiti, mi ha detto di no, dovevo "accontentarmi" dello scempio
visibilissimo sul viso, otto punti al sopracciglio, un occhio circondato dal
viola dell'ecchimosi e invaso dal sangue, il labbro rotto, e della visione
della schiena, piagata dalle manganellate e dai colpi calati col calcio del
fucile. Oh, si vedevano anche i segni delle manette che gli erano state
strette troppo fortemente ai polsi, ma dire manette è un errore, il termine
tecnico è un altro che lui sa e io no, sono specie di ceppi che segnano la
carne. I pantaloni scendevano perchè la cintura non c'era
più, era stata sfilata di brutto all'ingresso in
cella, rompendo tutti i passanti, e si vedeva qualcosa delle mutande piene
di sangue. Però lui non ci ha lasciato vedere
tutto, non voleva farci del male con quello "spettacolo".
Erano le 19 di lunedì. Settantacinque ore prima mio figlio, che ha
26 anni ed è creatura gentile, tenera, prudente sino ad essere paurosetta,
massima esplosione di esuberanza fisica il tifo urlato e cantato per il suo
e mio Toro, aveva compiuto il grave errore di partire con amici da una
località di mare in provincia di Savona per andare a Genova e filmare
- lui che studia anche giornalismo televisivo a Torino e mette insieme
documentari assortiti - qualcosa del Genoa Social Forum, della contestazione
contro il G8. Filmare e basta, cercando immagini di protesta corale e
coreografica, filmare accanto a un gruppo di vecchie signore che vendevano
magliette-ricordo.
Una carica dura delle forze dell'ordine, è la
zona dove è stato appena ucciso quel ragazzo, le signore alzano le mani, i
suoi amici scappano, lui non può perchè cercando
di allontanarsi si inciampa, cade, resta in ginocchio, a mani alzate. Gli
piombano addosso, quelli delle forze dell'ordine, e gli spaccano la
telecamera e la faccia, gli tatuano la schiena, gli martoriano tutto il
corpo. Tanti vedono, nessuno può intervenire. Se lo disputano come
ricettacolo di colpi poliziotti e carabinieri: ad un certo punto lui si
trova con una mano nella manetta di un agente, l'altra nella manetta di un
carabiniere. Implora una scelta, mica possono squartarlo.
Se lo aggiudicano i carabinieri, che lo portano via, gli dicono che
un loro commilitone è stato ucciso, in una caserma, questo sarà lo
spunto per altri pestaggi, stavolta specialmente con calci. C'è anche il
passaggio in un ospedale per una medicazione, fra medici sbalorditi,
indignati. Poi - ormai è notte - via su un torpedone verso il carcere di
Pavia, la cella di isolamento: la richiesta di poter orinare prima del
viaggio viene respinta con un pugno sul viso ferito e invito al fachirismo o
al farsela addosso, comunque unica violenza fisica da parte della polizia
penitenziaria. Poi la prigione, senza ora d'aria, con poco cibo e l'acqua
calda del rubinetto. Passa tutto il sabato, passa tutta la domenica. Tocca
agli infermieri del carcere inorridire per le ferite da medicare. Al lunedì
mattina la decisione del magistrato, sollecitato da un bravo avvocato che sa
smontare le accuse inventate sul verbale in fotocopia, come quella di
detenere uno scudo in plastica, vistoso e imbarazzante, ancorchè strumento
di difesa, non di offesa, ma inesistente, inventato. Fra la decisione del
magistrato e la scarcerazione passano sei ore per le cosiddette pratiche
burocratiche. Sei ore di vita libera tolte ad un ragazzo pienamente
scagionato. Sei ore di attesa per noi nel forno davanti al carcere. E'
uscito senza la telecamera ed uno zainetto, spariti. Gli hanno ridato il
telefonino, lo aveva in tasca, è stato distrutto dalle manganellate.
Ho saputo venerdì nella notte, da una telefonata dei carabinieri,
che era in arresto e "stava benissimo". Non mi hannno detto altro. Mi sono
precipitato a Genova, comunque. Era l'alba di sabato, telefonando ai
carabinieri ho saputo che ero stato stupido a mettermi in viaggio, chissÃ
dove era mia figlio, Mi hanno detto comunque di un avvocato di
ufficio, nome e cognome: ma al telefono c'era soltanto una voce meccanica.
Ho trovato aiuti da giornalisti amici, ho trovato un bravo avvocato, la
procura di Genova era aperta e collaborativa, ho saputo del trasferimento a
Pavia. Ho goduto della posizione di giornalista per rintracciare qualche
informazione, molta solidarietà . Ed anche per essere allenato a come avrei
visto mio figlio: colleghi esperti mi hanno detto, sì, di prepararmi a
vederlo conciato male. Ma nonostante tutto da venerdì notte alla fine della
giornata di lunedì ho vissuto una situazione da "Missing", il film
americano sulla tragedia del Cile ma anche sull'angoscia che ti prende
quando sai poco o nulla di una persona cara portata via, nella mio
angosciata particolare esperienza di immaginarti il figlio con le sue
ferite, per anestetizzarti all'impatto (non servirà a nulla, sarÃ
comunque una cosa tremenda).
Un bravo magistrato ha
interrogato, eseguito riscontri, ascoltato testimonianze, e non ha creduto
alle accuse a mio figlio elencate in un verbale che pareva proprio
prestampato, eguale per tanti, ha creduto al racconto dolente ed angosciato
di un ragazzo nonostante tutto più stupito che indignato, più sereno che dolente. Nella giornata passata fuori dal
carcere di Pavia ho parlato con tantissimi parenti e amici di altri di quei
provvisori desaparecidos. Ho visto uscire dal carcere altri ragazzi coperti
di ferite. Ho potuto anche pensare che a mio figlio è
andata bene, non è stato colpito alla pancia, ha avuto un avvocato solerte,
ha trovato i suoi genitori fuori dal carcere ad aspettarlo, nei limiti del
possibile confortarlo. Una parlamentare che ha visitato il carcere ha
parlato a noi in attesa di ragazzi feriti, distrutti, piangenti,
brutalizzati direttamente dai colpi presi, indirettamente dalla situazione
kafkiana dell'isolamento. Lui mi ha detto che le visite di parlamentari e
consiglieri regionali sono state un balsamo comunque, per quel poter parlare
serenamente di qualcosa con qualcuno, senza prendere colpi e ricevere
insulti (una bella - cioè orribile - antologia, quella delle aggressioni
verbali in pratica continue, l'ha messa per iscritto quando in carcere ha
avuto una penna e qualche foglio, c'è davvero tutto per umiliare uno che
patisce anche le parole).
Ho provato a chiedermi, da democratico
assoluto, disperato, se proprio non è possibile ad un cittadino filmare
della sua Italia, oltre che i monumenti e i tramonti e le feste di famiglia,
anche una manifestazione di protesta senza dover essere brutalizzato,
ridotto ad un manichino sanguinolento, sfregiato sul viso per sempre, da
forze dell'ordine violente con i deboli e impotenti di fronte ai veri
violenti, visibilissimi, colpibilissimi, le tute nere, nella fattispecie di
Genova. Cercherò di saperlo per vie legali, confido nella legge. Mio
figlio mi ha detto - spero perchè ferito ed umiliato, non
perchè definitivamente portato ad una scelta - che rinuncia agli ideali. Ma
non ci credo. E comunque ha rifornito di ideali me.
(24 LUGLIO
2001, ORE 10)