Traduzione articolo della giornalista Kirsten Wagenschein

by Stjenka Razin 1:05am Mon Jul 30 '01


Traduzione articolo di Kirsten Wagenschein. Assalto alla scuola Diaz e detenzione.



TRADUZIONE DELL' ARTICOLO DELLA GIORNALISTA DI JUNGE WELT IN ITALIANO

"STAMPA, STAMPA, STAMPA -VENIVA SEMPLICEMENTE IGNORATO

La collobaratrice di Junge Welt Kirsten Wagenschein sull' assalto poliziesco alla scuola Diaz a Genova e il suo arresto.


Da Mercoledí sono fuori dal carcere di Voghera. Finalmente.Al momento sto abbastanza bene, psichicamente. Sono semplicemente contenta di essere fuori di lí. Fisicamente sto bene di per sé. Sono stata una delle pochissime persone arrestate che non si è presa delle botte. Quando la polizia lo scorso fine settimana ha assalito la scuola Diaz di Genova mi misi, come altri, a correre di qua e di lá per l'edificio, temendo per la mia vita. Inizialmente mi fu possibile rifugiarmi in un ripostiglio,e speravo che non mi trovassero. Ero giunta alla scuola giusto cinque minuti prima dell' assalto per svolgere dei lavori di ricerca. Se fossi arrivata un quarto d' ora piú tardi non avrei potuto entrare nella scuola. Sono stata arrestata per puro caso.

Dopo un po', i poliziotti mi hanno effettivamente trovata. A quel punto la prima ondata della carica d' assalto era passata e i poliziotti avevano iniziato a percorrere l' intero edificio e a rastrellare ogni ambiente. Nel frattempo facevano tutto a pezzi con i loro manganelli.

Fui accompagnata in basso nell' atrio principale, senza venire picchiata. In quel momento vi si trovavano ancora circa settanta persone, delle quali almeno cinquanta erano ferite. La metá di queste era inondata di sangue e gravemente ferita. Delle aggressioni che erano precedute a ció non vidi nulla di persona, avendo indugiato nel mio nascondiglio. Vidi peró nell' atrio, come alcune persone venivano brutalmente picchiate. Nessuno opponeva resistenza, assendo la presenza numerica e la brutalitá della polizia troppo massiccia. Vidi una donna in piedi su una scala. Ogni poliziotto che passava accanto a lei, la colpiva con il suo manganello. Un colpo sul viso ha frantumato la sua mascella e fatto saltare i denti anteriori.

Fin dall' inizio avevo chiaramente fatto notare che sono una giornalista. Portavo sul petto la mia autorizzazione, avevo in mano la mia tessera stampa e ho continuamente ripetuto: stampa, stampa, stampa. Questo peró non aveva alcun peso e veniva ignorato. Un poliziotto in borghese ha infine dato un' occhiata ai documenti e fatto un fischio, come per dire: ma guarda qua chi abbiamo beccato. Alla fine mi venne tolto tutto: lo zaino, i documenti, tutto. Le autoritá italiane sapevano fin dall' inizio: Kirsten Wagenschein é una giornalista autorizzata.

In seguito fui condotta con altri arrestati in una caserma. Le mani sulla testa - cosí fummo perquisiti. In circa quaranta fra uomini e donne fummo messi al muro della cella. La maggior parte era in un modo o nell' altro ferita. Moltissimi avevano lesioni al capo e fratture al naso. I poliziotti avevano evidentemente picchiato sulla testa. Coloro che avevano tentato di proteggersi il viso con le mani avevano inoltre anche un braccio ingessato. Tutti stavamo faccia al muro, con le gambe divaricate e le mani sulla testa. Non so dire quanto tempo fummo costretti a rimanere in quella posizione. In una tale situazione si perde completamente il senso del tempo.

Ripetutamente i poliziotti entravano nella cella e ci divaricavano le gambe a calci, e tiravano su le nostre braccia perché stessimo il piú possibile scomodi. Anche quelli che avevano un braccio o una gamba rotta dovevano rimanere cosí. Continuamente i poliziotti sussurravano: tonfa, tonfa. Fu per ore un assoluto terrore psichico e di continuo la gente veniva percossa.

Non ho visto, perché come tutti gli altri stavo faccia al muro. Ognuno di noi peró ha sentito i colpi e le grida.

Di tanto in tanto alle donne veniva permesso di sedersi, agli uomini no. Alla fine le donne poterono sedersi con la schiena appoggiata al muro. Se qualcuno voleva andare al gabinetto, doveva passare accanto a un cordone di poliziotti. Al ritorno in un caso ho visto con i miei occhi come in un' altra cella un uomo veniva colpito al ventre con un tonfa. Il poliziotto lo teneva su per una spalla, e con l' altra mano picchiava. L' uomo picchiato gridava e gridava, ma continuava a venire picchiato.

Fino al lunedí mattina fummo trattenuti in questo primo centro di raccolta prigionieri. Per tutta la durata della nostra permanenza persone detenute furono picchiate. Stavamo in celle di venti metri quadri, seduti su un freddo pavimento di pietra, non abbiamo ricevuto praticamente nulla da mangiare e quasi niente acqua. Non vi erano interpreti, né esisteva la possibilitá di entrare in contatto con un avvocato o con il consolato tedesco. Niente. Non sapevamo nemmeno dove eravamo. Il lunedí fummo tutti sottopsti ai procedimenti di identificazione e schedatura. Furono fatte fotografie e prese impronte digitali. Alfine ebbe luogo una prima visita medica. Fummo costretti a spogliarci, un medico e due poliziotte controllavano se avessimo degli ematomi e in caso positivo prendevano nota. Al momento di venire portati alla visita noi peró non sapevamo che cosa ci sarebbe capitato, se ci si portava via, o da qualche altra parte per essere picchiati.

Solo alla prigione di Voghera, dove fui condotta con altre donne nel pomeriggio del lunedí, fui trattata con una certa correttezza e il terrore psichico e i pestaggi ebbero un fine. La tortura duró trentasei ore. In nessun momento ebbe un peso la mia posizione di giornalista. Nessuno ha reagito a questo fatto. Non mi fu inoltre permesso di mettermi in contatto con un' avvocatessa o un avvocato. Nessuno ottenne un tale permesso. Ci fu sempre detto che un colloquio telefonico con un avvocato sarebbe stato possibile solo quando fossimo davanti al giudice.

Martedí sera mi visitó per la prima volta un collaboratore del consolato tedesco, che mi spiegó che ero stata scelta per una visita a un prigioniero in quanto giornalista. Fu la prima volta che mi parve che qualcuno notasse che io sono della stampa. Due ore prima di questa visita mi era stato concesso di nominare un' avvocato difensore. Ció accadde il terzo giorno della mia detenzione, molto oltre le quarantott' ore previste dalla legge.

Il mercoledí noi donne incarcerate fummo "finalmente" presentate al giudice. Per la prima volta vi era un' interprete e un gruppo di avvocati E difensori d' ufficio che si occupavano di noi. Per la prima volta venni a sapere di cosa fossi accusata: sospetta appartenenza a una associazione internazionale chiamata black block. Verso le ore venti fui rilasciata e potei lasciare Voghera alle mie spalle. Insieme ad altri rilasciati fui espulsa via Brennero. Secondo una notifica preliminare del giudice non mi é permesso visitare l' Italia per i prossimi cinque anni.